Identificare i materiali ai raggi X

Martino Barbon

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Riconoscere una lega sconosciuta in tempo reale, con facilità, e direttamente in opera: tutto ciò è possibile grazie ad una nuova tecnologia, con un cuore italiano.

Ogni giorno, un commerciante di rottami metallici si sveglia e si domanda come farà a selezionare e suddividere tutto il materiale che gli arriva alla rinfusa. Ogni giorno, un titolare di un’officina si sveglia e si domanda se la lamiera che ha ricevuto è effettivamente quella che gli è stata venduta. Ogni giorno, un lamierista si sveglia e si domanderà se quella lamiera in fondo al magazzino è un 316 o un 304. Non importa che tu sia rottamaio, imprenditore o lamierista: quello che ti serve è un sistema che ti dica istantaneamente che materiale hai davanti. E non sono solo commercianti e lamieristi a dover conoscere la composizione chimica, e quindi la denominazione, di un materiale sconosciuto.

Per i periti dei tribunali, per gli ispettori, e per chi fa controllo qualità è faccenda di tutti i giorni. Un sistema in grado di identificare un campione in loco e in tempo reale può sembrare fantascienza, ma è realtà da anni. Quella tecnologia si chiama fluorescenza a raggi X (XRF) e ne abbiamo parlato con la dott.ssa Greta Bonacina, specializzata in Geochimica e responsabile di prodotto per Quantanalitica. Quantanalitica si occupa di strumentazione di misura portatile e da banco e di apparecchiature per le indagini di laboratorio, corsi di formazione, assistenza, consumabili e standard certificati.

Facciamo suonare gli atomi

Immaginiamo di avere un vaso in una scatola chiusa da una tenda e di voler conoscere di cosa è fatto quel vaso. Non possiamo guardare all’interno della scatola, ma possiamo colpire l’oggetto misterioso con un martelletto. Il materiale risponderà al nostro colpo emettendo una vibrazione; ascoltando il suono prodotto potremo dunque capire se si tratta di un vaso di bronzo, di ceramica, o di cristallo.

raggi x
Gli analizzatori XRF consentono di identificare il materiale in diverse forme, direttamente in opera. Quantanalitica/Olympus-Evident Scientific

In maniera analoga, possiamo fare lo stesso su scala atomica. Ogni atomo dispone di un determinato numero di elettroni, unico per quel particolare elemento chimico. Quegli elettroni orbitano attorno al nucleo secondo orbite di grandezza definita, che corrispondono a precise quantità di energia. «La distanza tra un orbitale e l’altro non varia in maniera graduale ma a scatti: ad ogni orbitale che saliamo corrisponde una maggiore energia. Gli orbitali, e i livelli di energia associati, sono “quantizzati”. Se potessimo ingrandirli di miliardi di volte, vedremmo che le distanze tra gli orbitali sono, ad esempio, a passi di 10 mm. Un elettrone colpito da un’onda elettromagnetica aumenterà la propria energia e salirà di 10, 20, 50 mm», ci spiega la dott.ssa Bonacina. In altre parole, non esistono orbitali ad altezza variabile, regolabile. Come in una scalinata: sia salendo che scendendo, tra un gradino e l’altro non ci sono appoggi intermedi.

Un piccolo ripasso di scienze

Gli elettroni, e i loro orbitali, non sono tutti uguali. Quelli più esterni, detti “elettroni di valenza“, sono più liberi. Essendo più distanti dal nucleo atomico, risentono meno della sua influenza e per questo interagiscono maggiormente con il resto del mondo. Il numero di orbitali di valenza e il numero di elettroni che li popolano sono responsabili della maggioranza delle caratteristiche chimiche di un elemento, determinando le reazioni e i legami possibili con altri atomi e molecole. Al contrario, gli elettroni che orbitano più vicini al nucleo sono quasi totalmente schermati dall’ambiente esterno e non partecipano alle reazioni chimiche. Ma, come vedremo, ci torneranno molto utili.

Quando un elettrone viene colpito da un’onda elettromagnetica esterna acquista una certa quantità di energia. A causa di questa energia aggiuntiva, l’elettrone passa a un’orbita più distante dal nucleo, saltando dal suo scalino e portandosi su uno scalino più esterno. Se l’energia è sufficiente, l’elettrone viene strappato via dal suo atomo e diventa libero di spostarsi. È quanto avviene ad esempio nei pannelli fotovoltaici con l’effetto fotoelettrico, la cui spiegazione valse ad Einstein il premio Nobel per la fisica nel 1905. L’atomo, privato di un elettrone, acquisisce una carica netta positiva e diventa quindi uno ione. Per questo motivo, le radiazioni elettromagnetiche molto energetiche, come raggi X e raggi gamma, sono dette radiazioni ionizzanti.

Torniamo al nostro elettrone: spinto dall’onda elettromagnetica a spostarsi su uno scalino più alto, ha lasciato libero il suo precedente orbitale. Alla Natura, si sa, non piacciono né gli spazi vuoti né le condizioni instabili. Un altro elettrone, che si trova su uno scalino più alto, vede quell’orbitale vuoto e decide di occuparlo. Ma per scendere dal suo scalino, deve liberarsi dell’energia che lo mantiene in alto. Lo fa emettendo un’altra onda elettromagnetica, come una mongolfiera che faccia uscire aria calda per abbassarsi di quota. «L’onda elettromagnetica emessa dal secondo elettrone ha un’energia ben definita, unica per ogni elemento chimico. Oltre che dallo specifico elemento chimico, dipende anche da quale scalino è saltato giù l’elettrone che ha riempito quella lacuna. Ogni sostanza composta da più atomi di diverso tipo (diversi elementi in diverse concentrazioni) emetterà uno specifico spettro di fluorescenza, a seconda dei “salti” che si verificano negli orbitali e del numero di atomi presenti per ogni elemento». Una sorta di impronta digitale, che ci consente di riconoscere in modo univoco quell’elemento. Chi ha studiato chimica o fisica, si ricorderà questo concetto incontrato con i famosi saggi alla fiamma.

Il saggio alla fiamma consiste nel disciogliere un campione di metallo in acido e porre una piccola quantità di soluzione nella fiamma di un becco Bunsen. Gli ioni metallici passano ad uno stato eccitato a causa del calore e colorano la fiamma con uno spettro caratteristico. Oltre che in laboratorio, questo fenomeno è sfruttato per dare i meravigliosi colori dei fuochi pirotecnici.

Ogni sostanza presenta una “firma” univoca, che dipende da quali elementi sono presenti e in che quantità

Purtroppo, per effettuare questo test bisogna prelevare un campione di materiale e trattarlo con sostanze chimiche pericolose. Il risultato del test è solitamente qualitativo ed interpretato soggettivamente, a meno che non si usino apparecchiature complesse e costose. Inoltre, il processo di preparazione introduce altri elementi chimici e impurità che possono rendere difficile o forviante la rilevazione. Un’evoluzione del saggio alla fiamma sfrutta un getto di plasma al posto di un bruciatore, ma si tratta comunque di strumentazione da laboratorio, difficile da utilizzare e poco trasportabile.

La spettrofotometria XRF

La spettrofotometria XRF (da X-Ray Fluorescence) si basa su un fenomeno fisico analogo: somministrare energia agli atomi sotto forma di raggi X e rilevare lo spettro emesso. È una tecnica di analisi elementale che rientra tra i test non distruttivi (NDT). La parola magica, che scava un solco profondo tra la XRF e le altre tecnologie, è “non distruttivi“. Ma come funziona?

Il display del dispositivo fornisce l’identificazione della lega incrociando la lettura con un database precaricato. Quantanalitica/Olympus-Evident Scientific.

Il principio di base lo abbiamo visto poco fa: grazie ad un piccolo generatore di raggi X, eccitiamo gli elettroni del materiale da analizzare. Negli apparati di misura XRF, la generazione dei raggi X avviene quando necessario tramite un piccolo tubo a vuoto, simile a un tubo catodico in miniatura. Gli atomi tornano allo stato di riposo emettendo altri raggi X, che vanno a colpire il rilevatore Silicon Drift (SDD) a semiconduttore dell’analizzatore XRF. Il rilevatore SDD è il cuore del sistema, e viene mantenuto ad una temperatura costante di -20 °C per la massima sensibilità. Inventore di questo componente è Emilio Gatti, uno scienziato italiano recentemente scomparso. Il detector SDD converte i fotoni X a differente energia (la “firma” di ogni elemento) in segnali elettrici di differente intensità. Questi segnali vengono rilevati e rielaborati consentendo di ricostruire la composizione chimica del campione. Incrociando le quantità rilevate con un database dei materiali, è possibile risalire alla qualità della lega in esame.

Grazie alle tecnologie a semiconduttori, i dispositivi XRF sono leggeri e compatti. Il test richiede pochissimi secondi e il risultato è immediatamente disponibile a schermo. Ciò consente di qualificare i materiali direttamente in opera, ovunque si trovino. Nonostante parlare di raggi X possa spaventare, la misurazione è assolutamente sicura. La dose di raggi X prodotta è estremamente bassa e di breve durata proprio in virtù dell’altissima sensibilità del rilevatore. Per dare un termine di paragone, a soli 30 cm di distanza dal dispositivo nella direzione di emissione, il livello di raggi X è pari alla radiazione di fondo normalmente presente in natura.

Ovviamente, come tutte le tecnologie, anche la spettrofotometria ha delle limitazioni. La principale è l’impossibilità di rilevare gli elementi chimici di peso atomico più leggero, ovvero:

  • Idrogeno
  • Elio
  • Litio
  • Berillio
  • Boro
  • Carbonio
  • Azoto
  • Ossigeno
  • Fluoro
  • Neon
  • Sodio

Tuttavia, la presenza nominale di alcuni di questi elementi può essere dedotta incrociando i database dei materiali con la presenza di altri elementi di lega.

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I raggi X eccitano gli elettroni più interni, provocando l’immediata emissione di fotoni a raggi X secondari

La differenza con i tradizionali metodi di spettrometria consiste innanzitutto nel poter essere utilizzata direttamente sul pezzo da analizzare. «Per il test non è necessario asportare neppure la più minima quantità di materiale, e non sono richiesti reagenti o acidi che possano falsare la rilevazione», continua la dott.ssa Bonacina. «Inoltre, la spettrofotometria XRF non altera i legami chimici: i raggi X eccitano per breve tempo gli atomi, che tornano subito allo stato energetico di partenza. Quindi non altera le caratteristiche chimiche e non spezza i legami molecolari». È proprio questo che la differenzia dagli altri strumenti di indagine e che la rende una tecnologia utilissima.

Immagini utilizzate su concessione di Evident Scientific.

Si ringraziano la dott.ssa Greta Bonacina di Quantanalitica, partner di Olympus-Evident Scientific.

Altre fonti: https://en.wikipedia.org/wiki/X-ray_fluorescence

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