È stato avviato il primo dei due programmi di accelerazione SURE5.0, il progetto che finanzia le Pmi europee nel percorso di transizione verso l’Industry 5.0.
Nel corso dei decenni ogni epoca è stata caratterizzata dalle proprie peculiarità tecnologiche, con forme e dimensioni diverse, ma il ricorso alla tecnologia è sempre stato una costante, per far sì che la vita risultasse più semplificata, tendendo alla perfezione. Negli ultimi anni, poi, sembra che la corsa alla tecnologia rappresenti il principale obiettivo di diversi ambiti, da quello produttivo al medicale, dal culturale all’istituzionale. Dopo un iter durato quasi 3 secoli, dove si sono susseguite una serie di rivoluzioni industriali, oggi siamo nel pieno della quarta, con una produzione basata sull’Internet of Things e sulla comunicazione di dati in tempo reale: assistiamo, senza quasi più stupore, ad una produzione che si svolge in una fabbrica fisica ma virtuale allo stesso tempo, caratterizzata da tecnologie abilitanti, efficienti e produttive. Eppure, già da un po’, si fa spazio un concetto nuovo, tra l’indifferenza di alcuni e l’entusiasmo di altri. Si intravede, da lontano ma non troppo, quella che viene comunemente definita quinta rivoluzione e che sembra foriera di una nuova epoca: l’Industria 5.0. Ma è realtà o solo una chimera? È davvero così o sono solo parole? Si tratta di una moda, che lascia il tempo che trova o forse si inizia a muovere davvero qualcosa, anche a livello istituzionale? Ebbene, se prima c’erano dubbi a tal riguardo, sembra invece che proprio dall’alto (leggasi Bruxelles) il concetto si stia trasformando in una solida realtà, attraverso progetti e programmi ad hoc che prevedono lo stanziamento di risorse destinate al cambiamento. Ma procediamo per gradi, analizzando la repentina evoluzione della materia, che, partendo da un’astrazione, mette sul tavolo 2.6 milioni di euro (e 2.3 per il futuro prossimo). Non poco, per un concetto che forse tanto irreale non è.
Industria 5.0: a che punto siamo?
Di Industria 5.0 si inizia a parlare nel 2016. Mentre l’Italia è in piena quarta rivoluzione, Michael Rada prospetta un nuovo avvento, sostenendo la necessità del ritorno a un sistema che metta l’uomo e l’ambiente al centro del processo industriale. Bisognerà però attendere il 2021 per dare forma al nuovo concetto, con il rapporto, pubblicato dalla Commissione europea intitolato “Industria 5.0. Verso un’industria europea sostenibile, umanocentrica e resiliente”. Intorno a questi tre aggettivi ruota il concetto principale, mentre viene smantellata l’idea di un sistema produttivo basato puramente sul profitto, condizione che penalizza la tutela dell’ambiente e offre pochi benefici alla società. Non si parte più dalla tecnologia e non si esamina più il suo potenziale finalizzato all’aumento dell’efficienza. L’approccio nuovo è incentrato sull’uomo, al centro dell’industria, con le sue esigenze e i suoi interessi, attorno a cui ruota tutto il processo di produzione. Dunque, se prima ci chiedevamo “cosa possiamo fare con la tecnologia”, in questa nuova era Industria 5.0 la questione trasla su un piano diverso, domandandoci “cosa può fare la tecnologia per noi uomini”. Non si esigerà più un lavoratore che adatti le proprie competenze alla tecnologia in evoluzione, ma si pretenderà, da chi sviluppa tecnologia di conformarla alle esigenze del lavoratore, per guidarlo e formarlo. È stato, infatti, ridefinito il ruolo dell’uomo nel processo produttivo e riconosciuto il suo valore nel processo di personalizzazione e scelta di qualità. In questo modo, la figura umana diventa un tassello cardine all’interno del paradigma 5.0. L’industria dovrà ricoprire un ruolo nuovo, fornendo prosperità, con particolare riguardo all’aspetto sociale e ambientale, considerando anche il concetto di “innovazione responsabile”, non finalizzata all’aumento dell’efficienza dei costi o alla massimizzazione del profitto, bensì alla realizzazione di “prosperità” per tutti i soggetti coinvolti: investitori, lavoratori, consumatori, società e ambiente.