Le parole della meccanica: il chatter

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Ogni lavorazione ha un nemico più o meno nascosto, più o meno “facile” da combattere. Insidioso e fonte di instabilità. Studiato. Combattuto. È il chatter.

Di quali lavorazioni si sta parlando? Sgrossatura? Finitura? Di fatto, poco importa perché ogni lavorazione è soggetta a vibrazioni, con intensità e caratteristiche diverse, ma comunque non si può prescindere. Se in sgrossatura si massimizza il volume di materiale asportato, in finitura prevalgono qualità superficiale, accuratezza, rispetto delle tolleranze… cambia l’utensile, cambiano i parametri tecnologici, forse anche la macchina utensile e, di conseguenza, anche lo stato vibrazionale.

F. W. Taylor, il padre del scientific management, ovvero il taylorismo, nel 1906 parlò di “the most obscure and delicate of all problems facing the machinist”, ovvero il problema più oscuro e delicato che si affronta nella lavorazione meccanica: si stava riferendo alle vibrazioni e, sembra, dando la prima definizione del fenomeno del chatter, un “male oscuro”. Il chatter, il “male oscuro”, appassiona da sempre gli studiosi del settore, con l’obiettivo di contenerlo il più possibile, in modo da ridurre, fino ad eliminare, i danni a esso collegati.

Due parole sulle vibrazioni

I moderni strumenti di misura e diagnostica sono oggi così evoluti da permettere studi sui fenomeni vibratori sono così precisi ed accurati da poter osservare, durante una generica lavorazione per asportazione di truciolo, tre differenti tipologie di vibrazioni:
• Vibrazioni libere – quando si verifica una oscillazione attorno ad una posizione di equilibrio, a causa di un disturbo, di varia natura, che perturba lo stato del sistema, che quindi risponde vibrando. Si tratta di vibrazioni vanno smorzandosi nel tempo.
• Vibrazioni forzate – quando il disturbo è continuo e variabile nel tempo: lo stato di eccitazione porta all’instaurarsi di vibrazioni con caratteristiche che dipendono dal tipo di disturbo. Sono direttamente legate al comportamento dinamico della macchina utensile, che non è un sistema rigido, e sono vibrazioni di cui non è possibile liberarsi, ma che possono essere contenute e tenute sotto controllo.
• Vibrazioni autoeccitate – sono dette anche vibrazioni autorigenerative e, questa famiglia, rientra il chatter, una vera insidia, a causa dello stato vibratorio che si instaura, anche di forte intensità, che danneggia l’utensile e i componenti della macchina, con un impatto importante sul risultato della lavorazione stessa, sia dal punto di vista della qualità che della produttività. Le vibrazioni autorigenerative sono dovute alla caratteristica dinamica della macchina utensile, senza esserne legate direttamente, ma dipendono dallo spessore del truciolo e dalla superficie lavorata.

Una pratica comune in officina per arginare l’instabilità dovuta allo stato vibratorio, è quella di intervenire riducendo i parametri di taglio, velocità o profondità di passata, ma si tratta di pratiche molto soggettive, legate più all’esperienza dell’operatore che non a studi o dati specifici, con tutte le criticità che ciò può comportare.

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