Un rivestimento in chirurgia

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La chirurgia umana ha origini antichissime. E’ iniziata quando l’uomo si è reso conto di poter intervenire chirurgicamente sui pazienti attraverso azioni di taglio. L’evoluzione è stata poi continua, con un balzo deciso in avanti grazie alla sterilizzazione degli strumenti e all’anestesia. Ma ogni taglio provoca inevitabilmente la rescissione di vasi sanguigni, piccoli o grandi, con la conseguente perdita di sangue.

L’elettrochirurgia nasce all’inizio del secolo scorso proprio per affrontare il problema, combinando insieme i processi di taglio e cauterizzazione delle ferite. Gli elettrobisturi considerano infatti il corpo del paziente come una resistenza e, attraverso diatermia elettrica, realizzano un innalzamento della temperatura nel punto in cui l’elettrodo è a contatto: ciò induce ablazione, taglio e cauterizzazione dei tessuti con conseguente emostasi. Questo calore altera la fisiologia dei tessuti e, pur consentendo di bloccare il sanguinamento, li rende non più in grado di mettere in atto efficaci processi di rigenerazione. Emergono così cicatrici, inestetismi e altre complicazioni postchirurgiche assai evidenti. Per ridurre il danno, facilitare la guarigione e nel complesso determinare un maggior benessere post operatorio per il paziente, sono nati nel tempo ulteriori strumenti, quali il laser chirurgico o i bisturi a radiofrequenza, di ampio utilizzo ma con risultati ampiamente migliorabili.

Da alcuni anni una startup italiana (Otech Industry di Alessandria) propone una soluzione differente, basata su un concetto nuovo e promettente, quello del “plasma a bassa temperatura” (Figura 1). Il chirurgo impugna un manipolo dotato di elettrodo che, avvicinato al tessuto del paziente, genera una scarica elettrica che porta alla creazione del plasma attraverso la ionizzazione dell’aria interposta. Il successivo flusso di corrente permette poi di mantenere il plasma attivo e in equilibrio con l’aria circostante, condizione che lo rende sostanzialmente freddo. Quando infine i movimenti del chirurgo portano il plasma in contatto con i tessuti, questi ultimi subiscono una sorta di “evaporazione“, ben diversa dalla bruciatura che caratterizza l’elettrobisturi. Siamo infatti in presenza di una temperatura sui tessuti sempre inferiore ai 50 °C, quindi decisamente inferiore rispetto a quelle degli elettrobisturi talvolta superiori ai 100 °C od anche a quelle di laser ed ultrasuoni. Tale differenza è fondamentale, perché offre al chirurgo, e quindi a tutti noi, una tecnologia interventistica nuova, a metà strada in termini di funzionalità tra bisturi a lama ed elettrobisturi. I vantaggi sono molti, soprattutto rispetto ad ambiti specifici di utilizzo, tanto che sono già centinaia i dispositivi a plasma freddo già circolanti.

Prima di parlare dei trattamenti, tuttavia, va aggiunto un ulteriore tassello: il plasma, come detto, agisce quando è posto a contatto con i tessuti esercitando un taglio netto e preciso. Affinché tale azione risulti perfettamente realizzata è opportuno evitare che il plasma si diriga su aree diverse da quella trattata. Ciò è particolarmente auspicabile nei trattamenti più delicati, come quelli di microchirurgia, oppure endoscopici, dove le distanze sono minime e la mobilità ridotta. Un buon contenimento del plasma è proprio quanto mai necessario per limitare i “danni ai tessuti collaterali“, spianando in tal modo la strada all’introduzione del plasma freddo nella chirurgia di altissima precisione.

Isolanti e rivestimenti

L’obiettivo ingegneristico è quello di identificare un sistema adatto a isolare un elettrodo a elevato potenziale elettrico e temperatura, posto a pochi millimetri di distanza dai tessuti circostanti, oppure addirittura a loro diretto contatto, e di farlo contenendo al meglio gli ingombri. In tal senso, i rivestimenti superficiali, con i loro sottilissimi depositi, appaiono la soluzione più promettente. Nella scelta dello strato isolante, un aspetto di sicuro interesse è rappresentato dalla rigidità dielettrica del materiale, ossia la misura della sua capacità, quando soggetto ad un campo elettrico, di resistere senza subire danni rispetto alla formazione di un arco elettrico (o al breakdown elettrico). Viene espressa in volt per unità di spessore (ad esempio, kV/mm or V/mm), dove nella Tabella 1 sono riportati i valori di riferimento per gli isolanti più comuni: una rigidità dielettrica maggiore indica un materiale isolante più efficiente. Sebbene la rigidità dielettrica effettiva possa risultare nella realtà molto diversa, questi valori possono essere utilizzati per una valutazione iniziale su:
• bontà dell’isolamento
• materiale da preferire
• spessore del rivestimento

Allo stesso tempo, nel caso di spessori molto sottili, come per i rivestimenti, anche in presenza di tensioni relativamente basse possono emergere campi elettrici elevati, tali da superare il valore di rigidità dielettrica. Diventano infatti importanti aspetti trascurati ai maggiori spessori come, ad esempio, la particolare forma dello strato del rivestimento o l’esistenza di disuniformità e inclusioni. A parte tutto ciò, nella scelta del rivestimento vanno introdotte ulteriori considerazioni, soprattutto legate alla fattibilità tecnologica e produttiva. In tal senso, un’analisi iniziale ha evidenziato come la deposizione di uno strato sottile di rivestimento ceramico possa rappresentare l’approccio tecnico che meglio si adatta alle esigenze specifiche di progetto. Tra le varie alternative, l’allumina, con una rigidità dielettrica caratteristica tra i 10 e i 15 V/μm, potrebbe diventare la scelta ottimale.

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