Le statistiche cominciano a documentarlo. Nel 2023 la Cina ha esportato di più nel Sudest asiatico che negli Stati Uniti o in Europa. Non era mai successo da quando vengono pubblicati i dati. Secondo l’Amministrazione generale delle dogane cinese, nel 2023 la Cina ha venduto merci per 524 miliardi di dollari ai Paesi dell’Asean, l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico di cui fanno parte Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Myanmar, Malesia, Singapore, Thailandia e Vietnam. Di contro, l’anno scorso la Cina ha esportato merci per 501 miliardi in Unione europea e per 500 miliardi negli Stati Uniti. La differenza del valore è minima, ma è la tendenza ad impressionare. Il grafico pubblicato da Bloomberg e basato sui dati doganali racconta la storia degli ultimi 20 anni, da quando la Cina è entrata nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) ad oggi. Riassumendo allo stremo: fino al 2019 Pechino ha puntato soprattutto sull’export verso Usa e Ue, da lì in poi le distanze si sono ridotte drasticamente e nel 2022, per la prima volta, le tre zone del mondo si sono suddivise equamente le quote del made in China.
Il 2023 è stato quindi l’anno del sorpasso, la manifestazione di una strategia a lungo termine: ridurre la dipendenza dai Paesi politicamente non allineati alle proprie posizioni. Uno, in particolare: gli Stati Uniti.
2023, l’anno del sorpasso
I dati storici delle esportazioni di Cina e Stati Uniti dimostrano che la dinamica del cosiddetto decoupling, lo scollamento tra le due principali economie mondiali, era in atto già dal 2019, ma che il combinato disposto, fatto di pandemia e guerre, ha dato un’accelerata bruciante al processo. Ha invertito nel giro di cinque anni una tendenza che durava da due decenni. Non per questo, tuttavia, l’economia americana e quella cinese sono oggi scollegate. Anzi, restano iper-connesse tra loro. L’interscambio commerciale diretto è infatti ancora enorme. E poi ci sono le possibili triangolazioni. Per dire: nel 2023 sono aumentate le esportazioni cinesi in Messico. Possibile che parte di quella merce sia finita negli Stati Uniti come prodotto finito. Lo stesso potrebbe essere successo attraverso Thailandia e Vietnam. Resta però un dato certo. L’anno scorso, per la prima volta da almeno 20 anni, la maggior parte del made in China non è finito negli Stati Uniti. Il 2023 sarà ricordato come l’anno ufficiale della fine della luna di miele tra la Cina e gli Usa? E l’Europa che fine farà?
I principali mercati finanziari non sembrano spaventati. Nel momento in cui scriviamo questo articolo (metà aprile) le Borse europee, quelle americane, del Giappone e dell’Australia sono ai massimi storici degli ultimi 40 anni. Tutti aspettano fiduciosi la fine delle politiche monetarie restrittive, confortati dai dati sull’inflazione generalmente in calo e dalle dichiarazioni ottimistiche di alcuni banchieri centrali. Insomma, il distacco commerciale dalla Cina non preoccupa ancora molto, ma la strada sembra ormai segnata. Dietro le statistiche ci sono infatti scelte politiche prese negli ultimi anni dalle due amministrazioni, quella di Pechino e quella di Washington. L’inizio del distacco, che i dati fissano al 2019, è frutto di quanto avvenuto a partire dall’anno prima, con l’imposizione reciproca di dazi commerciali, seguita poi da accuse reciproche su vari temi delicati. Se questa è stata la linea intrapresa da Donald Trump durante il suo mandato presidenziale, le cose non sono cambiate molto da quando alla guida degli Usa è arrivato Joe Biden. Anche il leader dei Democratici – che a novembre se la vedrà di nuovo con Trump per il nuovo mandato – non è stato morbido con l’omologo Xi Jinping. Seppur con uno stile diverso rispetto al suo predecessore, fin dall’inizio Biden ha fatto capire le sue intenzioni. Ha lasciato invariati i dazi. E ha puntato molto sui semiconduttori, tema che inevitabilmente porta a una delle questioni centrali per la Cina: Taiwan.
La battaglia si gioca sui semiconduttori
I semiconduttori sono alla base di quasi tutti i dispositivi elettronici e microelettronici, il loro uso non potrà che aumentare in futuro; per questo, il settore è di importanza strategica per tutte le nazioni del mondo. Gli Usa sono partiti bene; rispetto alla Cina sono arrivati prima a sviluppare la tecnologia, ma per mantenere il distacco da Pechino gli Usa hanno limitato l’esportazione di tecnologie avanzate per i semiconduttori verso la Cina. E hanno convinto anche altri Paesi alleati a farlo. Come l’Olanda, patria del gigante Asml, principale produttore mondiale di macchine per stampare processori. La Cina si sta attrezzando in casa per stare al passo dei rivali americani, ma sa che a pochi chilometri dai suoi confini non c’è solo l’isola che considera parte del suo territorio, ma anche l’azienda forse più importante di tutto il settore dei semiconduttori, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company Limited, meglio conosciuta come Tsmc, un gioiello industriale fondato nel 1987 dal taiwanese-statunitense Morris Chang.
Al momento, la temperatura sull’asse Pechino-Washington non sembra essere particolarmente bollente. Di certo, però, in questa battaglia tra le due principali economie mondiale l’Europa sta in mezzo, più geograficamente che politicamente. Le scelte strategiche dell’Ue, infatti, seguono quasi in tutto la strada tracciata dagli Stati Uniti, come indica la decisione dell’attuale governo italiano di uscire dalla Via della Seta, progetto su cui Pechino ha investito molto negli ultimi anni. Le aziende europee devono però affrontare un altro problema molto prossimo ai propri confini: la guerra con la Russia, che ormai da due anni ha portato ad un crollo improvviso dei rapporti con lo storico partner commerciale di molte imprese del Vecchio Continente.
Le opportunità per la manifattura italiana
In un quadro che appare a dir poco fosco, in realtà esistono anche parecchie opportunità per le aziende italiane interessate ad esportare. Lo racconta Sace nella sua “where to Export Map 2024”, uno studio dedicato alle imprese che esportano e investono nel mondo in circa 200 mercati esteri. Secondo il gruppo assicurativo-finanziario controllato dal Ministero dell’Economia, il 2024 sarà favorevole soprattutto alla meccanica, più nello specifico all’esportazione di macchinari necessari alla transizione digitale e a quella energetica. Secondo le previsioni di Sace, quest’anno i Paesi che offrono più opportunità sono infatti quelli che hanno intrapreso percorsi di diversificazione e transizione sostenibile e digitale. Lo studio di Sace ne cita ben dieci: Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti, Spagna, India, Arabia Saudita, Messico, Brasile, Corea del Sud, Vietnam. Anche la Cina fa parte della top ten, a dimostrazione del fatto che – sebbene i rapporti stiano cambiando – la luna di miele tra Pechino e l’Occidente non può finire in un attimo. Come ha ricordato presentando il report Alessandro Terzulli, capo economista di Sace, “le variabili economiche che guidano la domanda globale sono legate a doppio filo anche a quelle geopolitiche. È quindi fondamentale conoscere l’esposizione ai fattori contingenti, comprendere i reali effetti che gli eventi possono generare sul quadro globale e riconoscere i rischi, ma soprattutto le opportunità, che le imprese italiane hanno di fronte”.
Al netto delle variabili imprevedibili, quello in corso dovrebbe essere un anno positivo per il commercio mondiale. Sace prevede una crescita degli interscambi a livello globale dell’1,7% in termini di volumi. Merito del miglioramento delle condizioni finanziarie, vale a dire al calo dell’inflazione e alla conseguente attesa per un allentamento monetario da parte delle banche centrali. Questo almeno è ciò che prevedono gli analisti del più importante assicuratore italiano dei crediti all’esportazione. Ma come ci hanno dimostrato gli eventi negli ultimi due anni, oggi fare previsioni è particolarmente difficile. Meglio, quindi, non affidarsi all’ultima moda emersa, ma puntare sulle tendenze di lungo periodo. Come il disaccoppiamento dell’economia occidentale e di quella cinese. Un processo lungo e complesso, ma che ormai sembra essere decisamente avviato.
(di Stefano Vergine)