Rugosità superficiale di particolari in fusione laser selettiva

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La rugosità superficiale, come noto, ha un impatto significativo sulle caratteristiche dei prodotti industriali intervenendo su proprietà essenziali quali la resistenza all’usura, a fatica, a corrosione, sulle condizioni di interfacciamento, e su molto altro ancora. Da qui emerge la necessità di disporre di strumenti sempre più efficaci e potenti per lo studio delle superfici. Questo articolo descrive, in particolare, l’utilizzo di tecniche basate sulla geometria frattale per studiare la rugosità superficiale di componenti realizzati tramite Fusione Laser Selettiva.

Matej Babič, Roman Šturm, Cristiano Fragassa

Manifattura additiva

La Fusione Laser Selettiva (SLM) è uno dei processi più comuni di manifattura additiva nel caso dei metalli e rientra nella più ampia famiglia di metodi di produzione per stratificazioni successive. Nella SLM un laser fonde selettivamente le particelle di polvere metallica allo scopo di creare, strato su strato, il prodotto di interesse. Durante il processo, in particolare, il laser agisce sulla superficie del componente in fase di costruzione, formando su di esso un bagno di fusione. Nel frattempo, da un ugello entra all’interno della camera di lavorazione della polvere metallica che, sempre per effetto del laser, passa in uno stato liquido, andando così a mescolarsi al bagno di fusione. Dopo il raffreddamento, tra il materiale originale e quello aggiunto si formano strutture solide di collegamento, poco diverse da quelle create dai processi di fusione tradizionali.

A differenza di altre tecniche, quindi, la SLM non sinterizza le polveri, ma le fonde in una massa omogenea. Diventa così possibile realizzare prototipi e piccoli lotti con la grande flessibilità, rapidità e qualità propria della manifattura additiva, ma anche garantire proprietà meccaniche elevate e stabili. In Figura 1, è mostrato lo schema generale di funzionamento di un impianto SLM e dei suoi principali sistemi, tra cui è possibile riconoscere:

  • la camera di costruzione, ossia l’ambiente controllato dove avviene la sinterizzazione.
  • il letto di costruzione, ossia la superficie su cui l’oggetto viene costruito.
  • il serbatoio con la polvere da sinterizzare.
  • la lama recoater che distribuisce la polvere uniformemente sul letto di costruzione.
  • il laser che fonde la polvere per formare gli strati dell’oggetto.
  • il sistema di controllo del movimento del laser e della lama recoater.

In questo studio è stata utilizzata una EOS M 290 della Electro Optical Systems GmbH, un impianto di SLM pensato per garantire prestazioni eccellenti, come anche la possibilità di lavorare con una ampia gamma di metalli (Figura 2). Tra le varie caratteristiche di interesse, è utile segnalare uno spessore di stratifica dell’ordine dei 0,1 mm, con precisione dimensionale garantita da un sistema di sensori tattili integrati.

Fig. 1: Rappresentazione del processo di Fusione Laser Selettiva.

Materiali

Quale materiale, è stato scelto il EOS Maraging Steel MS1, una polvere di acciaio per utensili, appositamente pensata per le lavorazioni SLM. Si tratta di un Fe-2709, ossia un acciaio maraging ad alto rendimento con composizione chimica conforme alla classificazione europea 1.2709. Questo tipo di acciaio è caratterizzato da ottime proprietà meccaniche, facile lavorabilità meccanica, ma anche dalla possibilità di essere temprato per aumentarne durezza e resistenza. Può essere, ad esempio, post-indurito a >50 HRC con un trattamento di 6 ore a 490 °C. Senza contare che la resistenza alla temperatura diventa utile proprio per eliminare la marcata anisotropia delle proprietà legate alla costruzione per strati tipico della manifattura additiva che può essere ridotta mantenendo il materiale a 940 °C per 2 ore. Oltre a tutto ciò, sia come as-built che nelle sue versioni temprate, il Fe-2709 può essere lavorato, elettroeroso, saldato, micro-pallinato, lucidato e rivestito, se necessario.

Per il nostro esperimento abbiamo realizzato 17 campioni in SLM, non trattati termicamente, a forma cubica con lunghezza di spigolo di 10 mm. In Figura 3 sono rappresentati i passaggi effettuati per andare dalla modellazione tridimensionale della geometria del cubo alla realizzazione del particolare in metallo per stampa additiva.

Fig. 2: Impianto EOS M290 utilizzato per la Fusione Laser Selettiva.

Rugosità

Uno dei modi più semplici e diretti per studiare la qualità superficiale è quello di valutarne la rugosità. Con il termine rugosità superficiale ci si riferisce alla totalità delle irregolarità che formano il rilievo superficiale: per studiarla è stato qui utilizzato un profilometro.

La profilometria a contatto è una tecnica quantitativa nota che permette di valutare le irregolarità del profilo superficiale. A tal scopo, per una prima sommaria analisi si è soliti utilizzare il concetto di rugosità media (Ra). In quanto legata in diversi modi alla microstruttura del materiale, la rugosità media riesce ad influenzare proprietà fondamentali dei materiali quali resistenza, tenacità, duttilità, durezza, resistenza alla corrosione, comportamento alle alte e basse temperature e resistenza all’usura. Tali caratteristiche a loro volta controllano il modo in cui questi materiali vengono utilizzati in ambienti industriali.

Nel nostro esperimento sono state valutate le rugosità media delle superfici rispetto alle due direzioni longitudinale e trasversale rispetto al senso di avanzamento (principale) del laser, indicando questi parametri come, rispettivamente, Rax e Ray.

Fig. 3: Passaggi della procedura che porta dal modello CAD alla costruzione fisica del componente

Frattali

Allo stesso tempo, si è voluto fare qualcosa di più tentando di determinare specifici parametri adatti ad identificare la microstruttura del materiale. Tale microstruttura è solitamente contraddistinta da caratteristiche geometriche piuttosto complesse (Figura 4) che è improbabile che si riescano a rappresentare utilizzando la geometria euclidea classica. Dobbiamo accettare di impiegare la geometria frattale, più adatta a studiare la complessità delle immagini.

Fig. 4: Esempio di microstruttura superficiale da analizzare.

Nei frattali due sono i concetti fondamentali: autosomiglianza e dimensione frattale. Questi termini possono essere entrambi definiti in modo deterministico utilizzando uno strumento matematico proposto anni fa da J. Hutchinson e conosciuto come Iterative Function System (IFS). Un insieme autosimile può essere visto quale copia (infinita oppure finito) di sé stesso, e per questo motivo, espresso tramite il formalismo matematico del tipo:

dove E è l’insieme invariante, fi è la funzione di trasformazione che descrive la relazione tra l’insieme invariante e le sue parti costituenti.

Due oggetti si dicono autosimili se uno è l’unione di più copie simili più piccole di sé stesso. In questo caso, la funzione di trasformazione fi definisce una trasformazione scalare riducendone la dimensione e lo spostamento dell’origine all’interno di E. In Figura 5a è rappresentato un esempio di un sistema autosimile (E). Qui f1 definisce lo spostamento in alto a sinistra e f2 definisce lo spostamento in basso a destra.

In Figura 5b  è invece rappresentata una trasformazione di un quadrato rispetto ai differenti concetti di auto-somiglianza e auto-affinità. Si può notare come l’autosomiglianza possa essere considerata una categoria più generale, classificabile in: esattamente autoaffine, quasi autoaffine e statisticamente autoaffine.

Per quanto all’apparenza estraneo, astratto e complesso rispetto all’argomento in discussione, questo procedimento diventa immediatamente pertinente osservando la Figura 6, da cui emerge, in particolare, la base generale dello studio. Si assume che la microstruttura di ciascun campiono, in maniera analoga a quanto accade per altre strutture naturali complesse, possa essere schematizzata proprio attraverso i concetti di autoaffinità (esattamente, quasi o statisticamente). Quale conseguenza diretta, diventa relativamente semplice studiare tali microstrutture attraverso la matematica frattale.

Nel mondo dei frattali, la dimensione frattale (D) rappresenta il parametro più noto per trasformare la complessità di una struttura in un indice statistico razionale. Ed è proprio questo parametro che vogliamo utilizzare per ‘misurare ed identificare’ la complessità delle microstrutture presenti nei campioni in SLM.

Fig. 6: Tipologia di oggetti frattali autosimilari: (a) esattamente autoaffine, (b) quasi autoaffine e (c) statisticamente autoaffine.

Digitalizzazione

A livello operativo, applichiamo innanzitutto una griglia di analisi che consente di decomporre l’immagine in quadretti (pixel) per andare poi ad utilizzare un approccio statistico in grado di identificare la probabilità che ciascuno di questi quadretti sia bianco oppure nero. Su queste informazioni determiniamo infine la dimensione frattale che diventa rappresentativa della complessità della microstruttura osservata nell’immagine.

Specificatamente, una griglia quadrata di dimensione (k x k) è fatta scorrere sull’immagine derivata dal profilometro (Figura 7): da sinistra a destra, dall’alto verso il basso, spostando la posizione della griglia di un pixel per volta, rispetto a quella precedente. In questa procedura N (k) può essere definito come il numero di pixel neri in una particolare posizione della griglia quadrata dove N (k) <= k2. Il momento del primo ordine, M (k), della funzione di densità di probabilità P (k) del i valori N (k) per le diverse posizioni della griglia quadrata possono essere derivati utilizzando la seguente formula:

dove la somma delle Pi(k) è = 1 (trattandosi di probabilità) mentre M (k) è spesso conosciuta come la “dimensione di massa”, dove esiste una relazione ben nota tra il valore M(k) e k.

Grafi

L’identificazione dei modelli interpretativi delle immagini è stata effettuata sfruttando il concetto di grafo. La teoria dei grafi è una particolare branca della matematica discreta che studia le proprietà dei grafi, dove un grafo è rappresentato come un insieme di vertici (nodi) collegati da bordi o archi. Sono gli stessi principi oggi più comunemente conosciuti come “rete” e “teoria delle reti”, e che spaziano dalla Information Technology agli studi sociologici, alle scienze sociali e climatologia.

Il primo passaggio nel nostro caso è stato quello di costruire un grafo a partire dalle immagini microstrutturali. A questo scopo, sono stati identificati i nodi come equivalenti alle zone bianche presenti nelle immagini analizzate. L’insieme dei nodi V(u,v) e degli archi E(u,v) hanno permesso di costruire il grafo G = (V,E). Questa rete è stata costruita immaginando di collegare i “vicini più vicini” (‘neighbors’) a ciascun nodo.

La Figura 8 illustra il metodo utilizzato per il riconoscimento delle caratteristiche (“pattern”) presenti nell’immagine come permesso dall’applicazione dei grafi.

In tal senso, la densità della rete, che rappresenta forse il parametro più importante per identificare la rete stessa, è definita come la frazione di bordi presenti su tutti i possibili bordi. Quindi la densità della rete può essere rappresentata come:

dove V è il numero di vertici ed E è il numero di archi nella rete.

Fig. 8: Rappresentazione della procedura utilizzata per il riconoscimento di “pattern” significativi delle immagini attraverso la teoria delle reti.

Intelligenza artificiale

Allo scopo di convertire informazioni in modelli predittivi, abbiamo utilizzato tecniche di intelligenza artificiale (AI) e, in particolare, gli algoritmi genetici e le reti neurali.

La programmazione genetica (GP) rappresenta l’impiego di algoritmi che si sono “evoluti” in modo indipendente, sempre più adatti a risolvere il problema computazionale dato per via di una certa funzione di fitness. Nella GP, gli individui di una popolazione rappresentano le singole soluzioni. È conveniente rappresentare queste soluzioni come alberi, dove le funzioni sono rappresentate da nodi interni, ai quali sono collegati sottoalberi come parametri di input. Le foglie di tale albero saranno costanti, parametri di input dell’attività o comandi direttivi del programma (Figura 9). Attraverso l’applicazione di questa tecnica di analisi è possibile trasformare il problema in modelli matematici come quelli rappresentati in Figura 10.

Fig. 9: Esempio semplificato di un albero di sistema derivato dalla programmazione genetica.

Il termine rete neurale (NN), derivato dalla ricerca sul funzionamento del cervello, si applica a una gamma di modelli matematici caratterizzati da un ampio spazio parametrico e da una struttura flessibile. Una rete neurale è un processore distribuito massivamente e parallelo che ha la naturale capacità di archiviare informazioni empiriche e renderle disponibili per l’uso. È paragonabile al cervello umano sotto due aspetti: a) la conoscenza viene acquisita dalla rete attraverso il processo di apprendimento; b) la conoscenza è immagazzinata nelle connessioni inter-neurali, di varia intensità, chiamata peso sinaptico (Figura 11).

Fig. 10: Analogia di funzionamento degli schemi neurali umano e artificiale.

Risultati e Discussione

La tabella 1 evidenzia l’insieme dei dati in studio. Per ciascuno dei provini, indicati come S1 a S17, sono innanzitutto riportati i valori assunti dai due parametri di processo relativi al laser, di potenza generata (in Watt) e velocità di avanzamento (mm/s). Le successive due colonne rappresentano i parametri utilizzati per identificare la complessità delle superfici di dimensione frattale (H) e densità di rete (η). Questi parametri sono stati rinominati nei calcoli come X1, X2, X3 e X4 per evidenziare come siano rappresentativi degli input di sistema. Sono poi indicati i valori di rugosità per le due direzioni X e Y di misura, indicati come Rax e Ray. Questi parametri sono stati rinominati come Y1, Y2 in considerazione del loro ruolo di output. Lo studio è infatti rivolto a determinare Y1, Y2 conosciuti X1, X2, X3 e X4.

Tabella 1: Parametri di processo e di descrizione delle superfici.

La tabella 2 evidenzia i valori ottenuti attraverso le tecniche AI di programmazione genetica (GP) e reti neurali artificiali (NN). Emerge subito come il modello GP sia in grado di fornire una precisione elevatissima, del 97,6%  per Ray e 98,2% per Ray (Figura 12). A conferma di ciò la Figure 13 riporta una rappresentazione grafica di dati, caratterizzati da coefficienti di correlazione (di Pearson) sostanzialmente identici. Tutto ciò conferma la validità del metodo.

Allo stesso tempo, tuttavia, non è possibile ignorare alcuni aspetti tecnologici.

  • Nella tecnologia SLM, alcuni parametri di processo come la distanza tra i punti di fusione (hatch spacing) e lo spessore dello strato hanno un impatto diretto sulla rugosità superficiale, che finora è stato trascutato.
  • Metodi di post-elaborazione come la sabbiatura, il trattamento termico o la lavorazione meccanica possono ridurre significativamente la rugosità superficiale dei pezzi prodotti tramite SLM. La sabbiatura, per esempio, può aiutare a rimuovere le particelle di polvere non fuse e levigare la superficie.
  • Il design del componente influisce sulla rugosità superficiale. Angoli acuti, geometrie complesse e aree con scarsa accessibilità al flusso di polvere possono portare ad una maggiore rugosità superficiale. L’ottimizzazione del design del pezzo può quindi contribuire a migliorare la qualità della superficie.
  • Importanza del Controllo della Qualità del Materiale di Partenza: La qualità e la dimensione delle particelle di polvere utilizzate nella SLM sono cruciali. Polveri con granulometria uniforme e bassa umidità contribuiscono a una migliore fusione e a una minore rugosità superficiale.
Tabella 2: Previsione di rugosità attraverso algoritmi genetici e reti neurali
Fig. 12: Confronto tra dati sperimentali (Rax e Ray) e previsioni offerte dagli algoritmi genetici (GP) e dalle reti neurali artificiali (NN)

Conclusioni

In questo articolo è proposto un metodo molto preciso per prevedere la rugosità superficiali di particolari metallici costruiti attraverso la Fusione Laser Selettiva (SLM). Questa recente tecnologia produttiva sta andando diffondendosi sempre di più. Viene utilizzata per eseguire una varietà di attività produttive, che vanno dal rivestimento e riparazione di componenti fino alla produzione di parti complesse. È ormai ampiamente utilizzata in ambito aeronautico, aerospaziale; meccanico; delle costruzioni navali, medicinale, delle energie; petrolchimico,  della costruzione di edifici e strutture, per la produzione di souvenir, nella industria pubblicitaria, ecc. La SLM può essere utilizzata anche solo per la riparazione di pezzi costosi, come di prodotti fatti con leghe speciali (es. alto contenuto di nichel). Dovunque sia più redditizio riparare piuttosto che acquistare di nuovo, SLM può tornare utile. Ciò grazie all’elevata qualità del prodotto, che però deve essere garantita proprio da un controllo diretto della finitura superficiale. Ma questo solo a patto di poter prevedere con estrema precisione la qualità superficiale dei prodotti così realizzati. Avendo a disposizione il corretto metodo, esso potrà essere direttamente integrato (figura 15) nel procedimento di progettazione e costruzione tramite manifattura additiva.

Il presente studio si basa, quindi, sulle circostanze che la SLM sta assumendo un ruolo sempre più rilevante in numerosi settori industriali e che l’accuratezza nella predizione della rugosità superficiale può migliorare significativamente la qualità e la performance dei componenti in questi settori. Per esempio, una potenza del laser troppo bassa può non fondere completamente la polvere, mentre una potenza troppo alta può causare la formazione di sfere e porosità. La velocità di scansione, se troppo rapida, può portare a un riscaldamento insufficiente e ad una fusione incompleta. In tal senso, risulterebbe relativamente semplice inoltre estendere lo studio all’uso di leghe metalliche diverse, esplorando come variazioni nella composizione materiale influenzino la rugosità superficiale e le proprietà meccaniche dei componenti SLM. Né deriverebbero procedure avanzate idonee a migliorare il controllo qualità nella produzione additiva, consentendo un monitoraggio più preciso e personalizzato delle proprietà superficiali dei componenti. Compreso anche l’eliminazione di alcuni dei trattamenti superficiali necessari.

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