Ciò che definiamo come energia potenziale di una massa è spesso il risultato dei nostri sforzi per sollevarla contrastando la forza di gravità. Questa forza ci tiene ritti con i piedi per terra, ma ci impedisce d’altra parte di volare, se non a costo di un notevole spreco di energie. Un gancio appeso al cielo sarebbe perciò molto utile.
Qualunque tipo di sollevamento presuppone una struttura meccanica che alloggi, contenga e accompagni il carico pagante, sicché nella maggior parte dei casi è più l’energia sprecata nel sollevare tale struttura che quella investita per sollevare il carico. In taluni casi geometricamente fortunati, quali le funicolari, gli ascensori a verricello… è possibile compensare in buona parte il peso dei dispositivi di sollevamento, in altri casi tale obiettivo è decisamente più difficile da cogliere, ad esempio per il braccio degli escavatori, dove alloggiare dei contrappesi meccanici risulterebbe estremamente complesso. Il presente articolo illustra una soluzione semplice e auto adattiva a tale problema.
Bassi rendimenti per le macchine da scavo
Le macchine da scavo hanno bassi rendimenti, sono altamente energivore, introducono di conseguenza nell’ambiente elevate quantità di inquinanti sotto forma di CO2, calore, rumore e particolato. Sono diffuse ovunque e il numero di quelle operanti ogni giorno è elevatissimo, perché sono indispensabili in molteplici attività costruttive, manutentive, demolitive, di scavo… Così ogni innovazione che possa migliorarne l’efficienza riverbera i suoi vantaggi su scala mondiale. Con una qualche ragione alcuni costruttori hanno iniziato a sperimentare, se non produrre, macchine per ora di piccola o media taglia a motorizzazione elettrica, con i problemi tuttavia posti dal limitato stoccaggio di energia negli accumulatori disponibili e di affidabilità degli attuatori lineari elettromeccanici. In attesa, dunque, che le tecnologie costruttive delle batterie si evolvano, come tutti auspichiamo, è fondamentale migliorare l’efficienza delle attuali macchine oleodinamiche con motorizzazioni che utilizzano combustibili fossili.
Molti sforzi sono stati e vengono fatti dai costruttori di componenti quali pompe, distributori e valvole per ottimizzare il rendimento totale dei circuiti oleodinamici e quindi delle macchine in generale, rendimento che può essere ulteriormente incrementato se si affronta il tema del recupero delle energie inerziali e potenziali di alcune delle loro strutture mobili.
Per il recupero energetico in un escavatore è possibile intervenire principalmente su due tipi di movimento:
– La rotazione su ralla del sopra carro, sul quale sono portati la motorizzazione, la cabina di comando ed il braccio
– Il sollevamento e la discesa del braccio, che può essere di varie tipologie: monoblocco, articolato…
Il recupero dell’energia cinetica di rotazione può risultare relativamente semplice nel caso l’azionamento sia, o possa essere in futuro, operato da un motore elettrico, meno semplice se operato da un motore oleodinamico, per quanto non impossibile: è da valutare caso per caso il rapporto costi/benefici.
Per quanto riguarda invece il recupero dell’energia potenziale del braccio, il guadagno netto in termini di risparmio di combustibile e di minor produzione di CO2 è tale da spingere vari costruttori a cercare soluzioni più o meno efficienti. In questo articolo si porta l’esempio di un escavatore da 225 q.li con benna da scavo.
In Figura 1 si vede come usualmente il sollevamento del primo braccio, detto boom, sia operato da una coppia di cilindri, l’azionamento del secondo, detto arm, da un cilindro disposto superiormente al boom, e infine quello del bucket da un cilindro disposto superiormente all’arm.
Durante uno scavo la coppia di cilindri del boom deve esercitare una forza sufficiente a sollevare il materiale raccolto dal bucket, ma anche tutto il peso della struttura del braccio. Nella fase di rilascio del materiale e successiva discesa del bucket nello scavo il circuito oleodinamico deve accompagnare, frenando, la discesa del braccio, dissipando in calore l’energia potenziale fornita nel precedente sollevamento. Vero che, ove possibile, si cerca di sfruttare la portata in scarico per eventuali movimenti contemporanei, quali la rotazione della ralla, che però non sono sempre presenti, conseguendone un continuo spreco di energia.
La pressione ai cilindri del boom dipende chiaramente non solo dalla massa del materiale di scavo e del braccio ma anche dalla geometria del braccio stesso che è continuamente variabile durante il ciclo di lavoro. Un calcolo di prima approssimazione, che non tenga conto dei rendimenti meccanici dovuti agli attriti sui perni, nei cilindri… può essere fatto eguagliando i valori di coppia delle forze peso e delle forze attive dei cilindri gemelli rispetto al perno di rotazione del boom, là dove esso è collegato al sovra carro dell’escavatore (Figura 2). Si evidenzia così numericamente come tale pressione sia continuamente variabile e dipenda molto dal ciclo di lavoro dell’escavatore, ad esempio se la benna lavori in buca profonda o a livello del suolo, se il sollevamento del materiale sia di pochi o di più metri. Qualunque sistema a recupero di energia potenziale non può quindi che avere una logica di governo per il tuning di ottimizzazione della compensazione al ciclo medio di scavo.
I primi sistemi introdotti anni fa prevedevano invece la semplice aggiunta di un terzo cilindro disposto fra i due gemelli del boom e collegato in circuito chiuso ad un accumulatore oleopneumatico. Si trattava in fin dei conti dell’equivalente di una molla la cui precarica dipendeva dalla pressione dell’azoto nell’accumulatore. La rigidezza di tale molla non poteva però essere adattata a cicli diversi di lavoro o alla sostituzione dell’attrezzatura, ad esempio passando dal bucket a una pinza o martello da demolizione, ben più pesante, perché l’unico sistema sarebbe stato quello di aggiungere e togliere azoto all’accumulatore, cosa questa evidentemente non possibile su un mezzo mobile e, se lo fosse, oltremodo antieconomica.
Al momento sono stati sviluppati da noti costruttori di macchine movimento terra vari sistemi evoluti in grado di autoadattarsi alle situazioni di scavo, ma il brevetto cui facciamo riferimento in questo articolo ha sostanzialmente, oltre la capacità di elevate percentuali di recupero energetico, il pregio della semplicità. Esso utilizza la nota soluzione della terza camera realizzata all’interno degli steli dei cilindri del boom. Ciò risolve il problema di come alloggiare il terzo cilindro di compensazione e soprattutto, poiché le dimensioni esterne di tali cilindri variano pochissimo rispetto a quelle dei cilindri standard, danno la possibilità di revampare macchine esistenti.
In Figura 3 sulla sinistra è visibile un cilindro con terza camera a confronto con uno standard a destra. Le due terze camere sono collegate in circuito chiuso ad un accumulatore oleopneumatico (Figura 4). La precarica di azoto è definita una volta per tutte in base alla tipologia della macchina, ma può essere variata semplicemente aggiungendo o togliendo fluido alla camera lato olio. A tale scopo si dedurrà, ma solo quando sia necessario, una piccola portata o dal circuito principale oppure da una pompa appositamente predisposta. Un’elettrovalvola provvederà ad aumentare o diminuire la rigidezza della molla idraulica, aggiungendo o sottraendo fluido all’accumulatore, sotto il controllo di una logica di retroazione che utilizza i segnali di pressione letti nella terza camera e nella camera lato pistone di un cilindro del boom. Si lascia all’operatore la possibilità di scegliere fra tre tipi di ciclo, scavo profondo, scavo medio, lavoro in quota, ma poi, entro questi ambiti, è la logica di retroazione che ottimizza la compensazione idraulica.
Si sottolinea che il tuning non opera con risposte istantanee, ma su valori medi rilevati su tempi dell’ordine di parecchi secondi. Una buona compensazione non annulla mai la pressione nella camera di spinta dei cilindri, perché verrebbe ad esempio invertita la funzione delle valvole di bilanciamento e inoltre il braccio tenderebbe a sollevarsi da solo in condizioni statiche, essa cerca invece di ridurla a valori i più bassi possibili, come visibile in Figura 5 nei manometri rappresentati a destra.
È bene poi notare che se la compensazione bilanciasse, oltre il peso del braccio e della attrezzatura da esso portata, anche il peso del carico da sollevare, nella successiva discesa dovrebbe essere applicata una spinta verso il basso restituendo tutta e più l’energia che era stata risparmiata durante il precedente sollevamento “gratuito” del carico. Se bene tarato ed utilizzato, tale sistema può giungere a recuperare oltre l’80% dell’energia potenziale del braccio e dell’attrezzatura, col sostanziale vantaggio, rispetto ad altre soluzioni, di una notevole semplicità a garanzia di maggior affidabilità e durata.
In conclusione
Se l’efficienza di ogni macchina movimento terra potesse essere aumentata solo di alcuni percento, la produzione mondiale di CO2 si ridurrebbe di milioni di tonnellate/anno, quasi come se tutti gli spostamenti aerei fossero effettuati con dirigibili. Nel presente articolo viene presentata una soluzione smart per il recupero dell’energia potenziale di attrezzature di sollevamento quando essa non possa essere compensata da masse di contrappeso, come nel caso del braccio di un escavatore. Si prevede a tal fine l’uso di cilindri a tre camere e di una logica in retroazione per il tuning della compensazione al variare del ciclo di lavoro della macchina.
Carlo Maria Rozzi de Hieronymis