L’elettroerosione ai tempi dell’intelligenza artificiale

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L’intelligenza artificiale è un concetto ormai noto da decenni, ma è negli ultimi anni che sembra essere sempre più presente nel mondo manifatturiero, dove l’impiego di modello anche molto semplici può fare la differenza. In questo articolo si proverà a spiegare, in termini semplificati, come è stata realizzata una rete neurale per prevedere la velocità di lavorazione di una macchina che sfrutta la tecnologia di EDM a filo e quali parametri sono risultati determinanti, il tutto in un’ottica di ottimizzazione delle prestazioni.

L’elettroerosione o EDM (Electrical Discharge Machining) è una tecnologia di lavorazione non convenzionale che sfrutta la capacità erosiva di scariche elettriche per l’asportaziione di materiale, senza che vi sia un contatto effettivo tra utensile e pezzo. Il pezzo in lavorazione e l’utensile si comportano a tutti gli effetti da elettrodi e il raggiungimento della tensione elettrica necessaria alla generazione delle scariche è garantito da un liquido dielettrico posto tra utensile e pezzo. Questa tecnologia, nelle sue varie applicazioni, è particolarmente apprezzata nel campo delle lavorazioni di precisione. Consente, infatti, di ottenere profili geometrici complessi e pezzi che presentano rapporti di forma elevati in profondità, mantenendo tolleranze che rientrano nell’ordine dei centesimi. Inoltre, i componenti ottenuti tramite EDM sono generalmente caratterizzati da buona finitura superficiale, bassa rugosità e assenza di bave. I limiti che, al momento, accumunano tutti i macchinari appartenenti a questa tecnologia sono la possibilità di lavorare solo su materiali conduttivi e una velocità di rimozione del materiale non troppo elevata, che però ha il vantaggio di non essere influenzata dalla durezza del materiale scelto per la realizzazione del pezzo.

Si possono distinguere varie tipologie di macchinari che adottano questa tecnologia, ma ai fini di questo articolo ci si concentrerà sull’EDM a filo (WEDM): questo tipo di macchina utilizza un filo metallico conduttore (diametro da 0,01 mm fino a 2 micron) per realizzare tagli precisi nei materiali attraverso l’erosione elettrica. Il filo, costantemente irrorato di dielettrico, scorre verticalmente e avanza nel pezzo da lavorare con un’impostazione simile a quella di un traforo, che quindi, consente solitamente di ottenere solo due gradi di libertà nel taglio. Queste macchine hanno il vantaggio di poter tagliare spessori molto grandi (fino a 400 mm) con una finitura superficiale non comparabile a nessun’altra tecnologia. Tuttavia, dal punto di vista della velocità di lavorazione, è realistico immaginarsi avanzamenti macchina spesso molto bassi. Il limite di questo tipo di lavorazione sta proprio nella ridotta velocità di avanzamento durante le lavorazioni. Recentemente macchine di questo tipo si vedono utilizzate per separare dal piano di lavoro pezzi metallici ottenuti per additive manufacturing [1].

Processi industriali ed elaborazione dati

Sono ormai diversi anni che si tratta di argomenti legati all’Industria 4.0, Industria 5.0 e dei benefici che queste architetture comportano all’interno del mondo industriale. Tuttavia, quest’immensa acquisizione di dati spesso non è accompagnata da strumenti che consentano di analizzarli in modo ottimale. In ambito industriale, durante un processo di lavorazione, sono coinvolte molte variabili diverse. Capire esattamente come queste variabili influenzino i risultati ottenuti non è sempre semplice e ciò è legato ai complessi legami che esistono tra queste variabili. Spesso, ci si trova ad affrontare una sorta di “effetto domino”, dove anche piccole variazioni in una variabile possono avere grandi ripercussioni su altre variabili e sui risultati finali della lavorazione. In altre parole, risulta difficile scomporre un grosso problema in tanti piccoli problemi di complessità inferiore e capire in che modo questi si influenzino l’un l’altro.

Come esempio fermiamoci ad apprezzare un attimo la semplicità con cui il cervello umano può facilmente capire che i simboli disegnati in Figura 2 rappresentano un 9, e proviamo a pensare a come si potrebbe scrivere un programma per riconoscere questo numero. Se dividessimo l’immagine in 28×28 pixel, avremmo molte cose da dover considerare per fare questa associazione: per esempio il numero di pixel attivati, la presenza di cerchi chiusi o linee rette. Come è possibile pensare a un programma che capisca che una linea retta unita ad un cerchio potrebbe rappresentare un 9? Un tratto rettilineo potrebbe essere rappresentato da una linea retta molto lunga, o sarebbe meglio considerare almeno due segmenti, in quanto le linee disegnate a mano raramente son dritte? E un cerchio, o una linea chiusa, come potrebbero essere tradotte in codice? Inoltre, un’altra persona potrebbe scrivere il numero 9 in maniera nettamente diversa da come è stato rappresentato qui [2].

Nell’attività di ricerca esistono vari strumenti di analisi statistica che, senza entrare troppo nel dettaglio, dovrebbero aiutare a ricavare la miglior combinazione di parametri per eseguire un certo compito. Tuttavia, spesso questi procedimenti risultano complessi, dispendiosi in termini di tempo e sono caratterizzati da una certa rigidezza, nel senso che, se cambiano le richieste, risulta solitamente necessario dover modificare il modello per garantire nuovamente previsioni corrette. Partendo da queste premesse, risulta spesso normale ricorrere all’esperienza degli operatori, a simulazioni o a varie prove pratiche a bordo macchina fino a che non si riescono ad ottenere dei risultati di lavorazione soddisfacenti. Ma allora, visto che da due anni a questa parte si parla solo di questo, sarebbe possibile fare affidamento sull’intelligenza artificiale (AI) in questo campo?

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