Il rapporto Ingenium di Federmacchine e Confindustria mostra come il settore dei beni strumentali ACT (Automazione, Creatività, Tecnologia) abbia ancora opportunità da cogliere nei mercati esteri, sia avanzati sia emergenti. Si tratta di un potenziale che, per essere raggiunto, non può però prescindere da investimenti in capacità produttiva e nuove tecnologie.
Il quadro di complessità straordinaria in cui si muovono attualmente le aziende rende impossibile operare in un clima di “business as usual”. I conflitti in atto, le tensioni USA-Cina, la crisi in Germania sono solo alcuni esempi di criticità che impattano sulle imprese a livello globale. A questi si aggiungono le interruzioni nelle catene di fornitura, la domanda estera più debole, le difficoltà nel trasporto merci e i rincari energetici. Senza dimenticare poi che la transizione digitale e la green transition richiedono alle aziende di innovare continuamente.
Lo scenario è dunque di una complessità fuori dal normale, per affrontare la quale è fondamentale poter cogliere tutte le opportunità che si presentano nei mercati globali. Soprattutto per un comparto votato all’export come quello dei beni strumentali ACT (ovvero contraddistinti da alti livelli di Automazione, Creatività e Tecnologia). Per supportare le imprese nell’accrescere la propria competitività all’estero, è stata recentemente pubblicata la seconda edizione dello studio Ingenium, realizzato da Federmacchine e Confindustria. Il report vuole essere una guida per chi produce ed esporta, al fine di valutare dove è possibile individuare le maggiori opportunità.
Alessandro Fontana e Tullio Buccellato, rispettivamente direttore ed economista del Centro Studi Confindustria, hanno presentato i risultati della ricerca durante il convegno “Il potenziale dei beni strumentali italiani nel panorama internazionale”. Come spiegato nello studio, la denominazione “ACT” comprende 225 categorie di prodotti che si articolano in 12 comparti legati alla produzione di macchinari. Si tratta di macchine accomunate soprattutto dall’elevato grado di precisione, da una presenza dell’elettronica sempre più pervasiva rispetto alla parte meccanica, dall’agilità nell’adottare soluzioni su misura e da un crescente contenuto di servizi nell’offerta di vendita. Secondo il report, per la quasi totalità delle categorie di beni strumentali ACT considerate (212 su 225), l’Italia esprime un vantaggio competitivo sia in termini di prezzo applicato per la vendita, sia (a parità di prezzo) per le più elevate quantità di macchinari vendute.L’andamento delle esportazioni di beni strumentali ACT
Nel 2023 le aziende italiane del settore dei macchinari industriali ACT hanno registrato una crescita annuale a prezzi correnti del 7% rispetto al 2022, anno che a sua volta aveva segnato un forte rialzo (+9,4%). Tuttavia, i primi sette mesi del 2024 mostrano una frenata che ha portato a una contrazione dell’1,7% in confronto allo stesso periodo dell’anno precedente. I risultati preliminari dei primi sette mesi dello scorso anno indicano che il 2024 rappresenta uno stallo per l’export dei macchinari, soprattutto per la componente che si rivolge al mercato europeo. Le esportazioni verso il Nord America e il Medio Oriente hanno infatti continuato a crescere, con incrementi rispettivamente del +2,7% e del +10,5% in confronto all’anno precedente. L’Europa e l’Asia orientale, invece, presentano segnali di rallentamento (rispettivamente -2,5% e -6,3%). Questi risultati – sottolinea lo studio – non solo riflettono le dinamiche della domanda regionale, ma anche l’impatto delle politiche industriali e commerciali adottate dai paesi concorrenti, che, nel caso asiatico, risentono del disaccoppiamento con le filiere occidentali.
Il potenziale ancora da cogliere
Secondo il rapporto Ingenium, il valore delle esportazioni di macchinari italiani ACT nel mondo è di 32.1 miliardi di euro. I mercati avanzati assorbono più di 21.6 miliardi di euro, mentre quelli emergenti 10.5 miliardi di euro. Vi è però un potenziale aggiuntivo di circa 8 miliardi di euro che può essere raggiunto ampliando l’export. Lo studio sottolinea che tale potenziale sembrerebbe distribuito piuttosto equamente tra paesi avanzati ed emergenti.
Per quanto concerne i primi, la notevole dimensione del mercato USA ha un peso molto rilevante: gli Stati Uniti, infatti, da soli valgono 760 milioni di export potenziale aggiuntivo. Seguono la Germania e la Francia e poi l’Austria e la Spagna. Riguardo ai settori, quello dei sistemi e componenti meccatronici per la trasmissione di potenza è tra i più promettenti. Ulteriori comparti interessanti sono le macchine utensili, robot e automazione e le macchine e stampi per materie plastiche e gomma.
Analizzando invece i prezzi, i macchinari italiani tendono a essere in linea con quelli dei competitor nei mercati avanzati. Ma nei mercati emergenti il settore ACT nazionale ha generalmente prezzi più alti rispetto alla Cina (il concorrente principale), collocandosi quindi in un segmento di mercato medio-alto. Nella ricerca, infine, l’analisi del potenziale si accompagna a quella del rischio che ciascun mercato presenta. In particolare, vengono ritenuti relativamente sicuri i paesi avanzati, ma anche la Cina. Tuttavia, riguardo a quest’ultima, un marcato rallentamento dell’economia o l’evolvere dei delicati scenari internazionali potrebbero peggiorarne il profilo.
La sfida delle nuove tecnologie
Oggi più che mai la partita della competitività si gioca sulle tecnologie emergenti che avranno un ruolo chiave nella crescita futura. L’Italia (e più in generale l’UE) è debole in questo ambito: basti pensare che solo 4 delle 50 aziende tecnologiche più importanti al mondo si trovano nel Vecchio Continente. In più, al momento non esiste alcuna azienda in Europa con capitalizzazione di mercato superiore a 100 miliardi di euro avviata negli ultimi 50 anni (negli USA le sei aziende con capitalizzazione superiore ai 1.000 miliardi sono nate tutte in questo periodo). Colmare il gap con Cina e Stati Uniti diventa imperativo, investendo maggiormente nelle nuove tecnologie e in ricerca e innovazione. In particolare, è fondamentale focalizzarsi sull’intelligenza artificiale, che sarà centrale in tutti gli ambiti produttivi.
Durante il convegno, Giuliano Noci, docente del Politecnico di Milano, ha sottolineato che l’AI è un fattore strutturale di cambiamento nella vita delle persone e delle imprese: lavora sull’efficienza nell’ottica della semplificazione dei processi. È una trasformazione che non si può fermare, ma l’Italia è rimasta indietro rispetto ad altri paesi investendo troppo poco. Noci ha evidenziato che, per mantenere la competitività, la qualità delle macchine è certamente importante, ma non è più sufficiente. Inoltre, l’export non può essere l’unico indicatore della competitività.
Per abilitare l’adozione dell’AI nell’industria, servono capacità di calcolo e una maggiore cultura del dato (i dati aziendali sono spesso frammentati o gestiti male; una governance chiara dei dati garantisce applicazioni di AI più efficaci). Inoltre, il rapporto Ingenium sottolinea come sia essenziale formare team aziendali con competenze trasversali che includano IT, tecnologie operative e AI. Un ruolo chiave, poi, è giocato dal management aziendale, il cui coinvolgimento è importante per guidare la trasformazione. Infine, ulteriori sfide da considerare sono la necessità di un’analisi preliminare accurata dei bisogni operativi (altrimenti l’implementazione dell’AI potrebbe non soddisfare pienamente le esigenze) e il fatto che i modelli di intelligenza artificiale siano a volte percepiti come eccessivamente complessi.
È dunque necessario lavorare su questi aspetti e incrementare gli investimenti. Il mercato dell’AI in Italia cresce in misura consistente, ma si muove ancora su una scala minimale. Nel 2023 ha segnato un aumento del 52%, raggiungendo il valore di 760 milioni di euro: l’incremento è elevato ma va inquadrato nel contesto per essere compreso correttamente. L’Europa investe in AI il 5% di quanto investono gli USA e l’Italia è nelle retrovie europee. In più le Pmi faticano a tenere il passo: nel 2023 il 61% delle grandi imprese aveva all’attivo, almeno a livello di sperimentazione, un progetto legato all’intelligenza artificiale, mentre si scende al 18% tra le piccole e medie imprese.
Lavorare in sinergia per concretizzare il potenziale
Un concetto ribadito più volte durante il convegno è che il fatto che ci sia un ampio margine di miglioramento per l’export italiano di macchinari non significa che la sua realizzazione sia automatica. Aumentare le esportazioni implica a monte un incremento della produzione, che a sua volta passa per una crescita degli investimenti. A tal fine è necessario uno sforzo sinergico di tutti gli attori del Sistema-Paese. Per questo al convegno erano presenti esponenti delle diverse realtà interessate.
Bruno Bettelli, presidente di Federmacchine, ha sottolineato l’importanza di supportare le aziende del settore e in particolare le Pmi, che a volte da sole faticano ad accedere ai mercati esteri. Ha inoltre evidenziato l’esigenza di riuscire a comunicare meglio l’eccellenza che il comparto rappresenta. Nel suo intervento, poi, Barbara Cimmino, vicepresidente Export e Attrazione Investimenti di Confindustria, ha parlato della necessità di un “ecosistema dell’innovazione” che coinvolga industria, istituzioni e università. Alessandra Pastorelli, capo ufficio II DGSP, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ha citato l’espressione “diplomazia della crescita”, ovvero l’impegno delle istituzioni ad andare dove si presentano opportunità per “aprire porte”.
All’evento era presente anche Sace, rappresentata dall’amministratore delegato Alessandra Ricci e dal chief economist Alessandro Terzulli. Sace è una società specializzata nel sostegno alle imprese italiane (in particolare le Pmi) per aiutarle a crescere sui mercati globali. Mette a disposizione competenze integrate, servizi finanziari e strumenti per sviluppare nuovi contatti.
Il ruolo degli accordi commerciali
Il report Ingenium sottolinea come, in un contesto sempre più incerto, sia strategico rafforzare gli accordi commerciali già esistenti e porre le basi per nuove intese. Per l’Italia, questo significa consolidare i legami con i paesi dell’Unione europea. In più, è anche importante rinsaldare i rapporti commerciali tra Stati Uniti e Ue e dar vita a nuovi trattati di libero scambio per fronteggiare la concorrenza di paesi terzi (anche alla luce della Regional Comprehensive Economic Partnership in Asia). Un’ulteriore opportunità per il made in Italy può venire dall’accordo commerciale Ue-Mercosur, considerando le liberalizzazioni sui settori automobilistico, delle parti di automobili e dei macchinari.