Ferruccio Resta, Polimi: “Cultura e innovazione. Le chiavi per il futuro”

ROSSI

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Abbiamo posto alcune domande al Prof. Ferruccio Resta, Rettore del Politecnico di Milano.

Il Politecnico di Milano si colloca tra le eccellenze universitarie a livello mondiale per il design, l’architettura e l’ingegneria. Ha sedi in Milano Leonardo, Milano Bovisa, Como, Lecco, Cremona, Mantova, Piacenza e conta un totale di 46.000 studenti. Qualche stralcio dal Piano strategico 2020/2022 ci fa meglio comprendere la mission e gli obiettivi: “Nel triennio, abbiamo scelto di essere ambiziosi nella convinzione che il nostro destino, come università, sia strettamente legato a quello del paese. Consapevoli della responsabilità che il Politecnico di Milano ha assunto affinché il suo futuro possa essere d’aiuto a quell’Italia che vuole guardare avanti, all’Europa e al mondoLe recenti crisi dei mercati finanziari e l’emergenza sanitaria, hanno messo in evidenza i limiti delle politiche adottate e prodotto una contrazione del ciclo economico, una forte competizione tra sistemi produttivi nazionali e un aumento del divario sociale. I mancati interventi sull’ambiente e le conseguenze della pandemia portano oggi ad affrontare con urgenza le grandi questioni della sostenibilità e delle scienze della vita. La tecnologia rappresenta in questo contesto, più che in passato, uno strumento indispensabile per rilanciare e indirizzare uno sviluppo economico geograficamente e socialmente bilanciato. Uno strumento che va guidato in modo etico e responsabile. Il riferimento non è solo alle tecnologie digitali, ma anche, per esempio, alle nanotecnologie, alla genomica, alle biotecnologie. Sempre più complesse, intangibili e pervasive, il loro uso espone l’umanità a un rischio di sbilanciamento di potere e a nuove sfide che, per dimensione e portata, travalicano i confini nazionali in modo sempre più interconnesso. Flussi di persone che cercano opportunità di crescita spostandosi dai paesi in sofferenza ai paesi più sviluppati, dalle aree rurali alle concentrazioni urbane, attivano le aree metropolitane come veri motori di sviluppo, punti di attrazione di capitali e di risorse umane di qualità, ecosistemi territoriali che diventano poli di attrazione e di nuove progettualità. Organismi urbani che, alla luce dei recenti sviluppi aperti dalla pandemia, dovranno ripensare la propria funzione, ridisegnare nuovi spazi e nuove forme di socialità e e di interazione. Qui troveranno riscontro gli obiettivi del nuovo millennio“.

In questo stimolante contesto abbiamo posto alcune domande al Rettore, Prof. Ferruccio Resta.

Prof. Resta, Rettore, ci può sintetizzare un quadro sull’economia mondiale e sui possibili macro-scenari?

Premetto che la mia posizione e la mia esperienza mi consentono di dare una risposta più vicina ai temi della tecnologia che non a quelli dell’economia, anche se i due sono strettamente collegati. Ciò che sta accadendo a livello di macro-scenari è che il Covid-19 agisce come un grande amplificatore e un acceleratore delle trasformazioni in atto. Stiamo assistendo a una crisi che mette a dura prova gli equilibri su cui si fondavano i nostri sistemi economici e sociali perché centrata sulla persona. È quindi proprio dalla persona che dobbiamo ripartire per rispondere alle grandi sfide del nostro tempo: la salute in primis e a seguire i grandi temi della mobilità, della connettività, delle infrastrutture, della sostenibilità, della transizione green… In questo contesto e in questo esatto momento storico, tecnologia e ricerca svolgono un ruolo chiave. Rappresentano uno strumento indispensabile per rilanciare e indirizzare uno sviluppo economico geograficamente e socialmente bilanciato“.

Come valuta il contenuto tecnologico, a valore, del manifatturiero italiano nel contesto europeo e con quali prospettive, sotto quali condizioni?

Nel corso degli ultimi vent’anni, l’industria ha rappresentato l’ossatura dello sviluppo socio-economico del paese. Il manifatturiero, in particolare, è stato e continua ad essere una vera e propria forza motrice per l’economia e la società. Un settore trainante che mette l’Italia al secondo posto tra le nazioni europee, dopo la Germania, e tra le prime otto al mondo. Ciononostante, se analizziamo il grado di intensità elettronica dei nostri prodotti, ovvero il numero di microprocessori venduti per ogni euro di fatturato, ci accorgiamo che in Italia vengono venduti il 10% dei chip rispetto al sistema tedesco e il 25% a confronto con quello francese. Un dato che indica come la manifattura italiana ancora non abbia colto del tutto le potenzialità di un prodotto sensorizzato e connesso, vicino all’utente e facile da manutenere. Questa è in realtà la linea di sviluppo su cui puntare“.

Come valuta lo stato della ricerca europea sulle cosiddette tecnologie avanzate o disrupting? Quali le ricerche più promettenti dal punto di vista della ricaduta a terra?

La ricerca europea gode di buona salute. È una ricerca di sicura qualità che tuttavia fatica a farsi strada in un contesto globale dominato da poli opposti, Stati Uniti e Cina, in termini di prodotto interno lordo, di crescita e di innovazione tecnologica. Per questo l’Europa deve puntare, anche nel settore della ricerca, a una maggiore coesione tra ecosistemi nazionali, alla costruzione di reti solide per aumentare la propria massa critica. Credo che sia arrivato il momento di prenderci la responsabilità di scegliere, di costruire programmi di ricerca e piattaforme nazionali ed europee, di spingere sul trasferimento tecnologico e di investire in politiche di lungo corso. L’Italia in particolare, da anni priva di investimenti in formazione, ricerca e sviluppo, verrebbe premiata da un dialogo continuo con l’Europa soprattutto rispetto ad alcuni ambiti di ricerca che promettono ampie ricadute come le biotecnologie, la mobilità connessa, lo storage energetico, l’idrogeno, le energie pulite come l’eolico, il riciclo chimico della plastica, la robotica collaborativa per il manifatturiero e le smartcities… giusto per citarne alcune“.

La rivista tratta le problematiche delle officine manifatturiere e negli anni recenti, correttamente, anche dell’integrazione di O.T con l’I.T aziendale. Tenuto conto delle caratteristiche delle nostre piccole e micro-imprese, non c’è il pericolo di un’eccessiva enfasi di marketing sull’informatica di fabbrica rispetto allo studio di nuovi processi di lavorazione, di nuove macchine?

Non dobbiamo cadere nell’errore di creare un dualismo tra tecnologie hard e tecnologie digitali. La meccanica, il progetto, i materiali e le tecnologie di lavorazione sono le condizioni necessarie, quelle che io chiamo le fondamenta, dalle quali non si può prescindere. È quindi indispensabile un processo di miglioramento continuo e di innovazione su materiali, sulle nuove tecnologie di produzione, sui sistemi di progettazione…. Processo che credo abbiamo dimostrato di essere in grado di presidiare. Oggi però l’integrazione con sistemi IoT, Internet of Things, la sensorizzazione dei dispositivi, l’utilizzo di algoritmi e la centralità dei dati sono gli elementi che possono differenziare il nuovo prodotto. La crescente digitalizzazione delle imprese necessita quindi di processi e di prodotti connessi, di tecnologie abilitanti come la robotica collaborativa o la manifattura additiva. Detto ciò, il cambiamento in atto è di tale portata che non si limita all’introduzione di nuove tecnologie all’interno di vecchie fabbriche. Al contrario, porta con sé un approccio più ampio, che va fino alla riorganizzazione del lavoro e a nuovi processi produttivi. Capisco che per dimensioni e impatto non sia un passo semplice per le imprese italiane, notoriamente di piccole dimensioni. Mi rendo conto che è chiesto loro di intraprendere un processo di accelerazione tecnologica di grande portata senza una struttura in grado di accompagnarle. Fondamentale sarà quindi l’evoluzione verso ecosistemi integrati e aperti, verso dei veri e propri centri dell’innovazione“.

L’interno di un laboratorio di ricerca del Politecnico di Milano.
Formare ingegneri è una grossa responsabilità sia per l’impegnativo corso di studi, sia per le aspettative di lavoro degli studenti, sia per il rapporto non sempre positivo tra gli ingegneri e le Pmi, la maggior parte famigliari. Quali considerazioni può fare al riguardo?

Prima di tutto penso che la formazione è una grande responsabilità per la crescita del paese, sotto ogni punto di vista. Per questo servono qualità, basi robuste e percorsi internazionali. Serve competenza: questa è la parola chiave. Senza una preparazione tecnica adeguata sarà sempre più difficile affrontare nuove sfide, come quelle che abbiamo descritto prima. Dobbiamo cioè investire sull’alta formazione e sulla formazione continua e farlo in stretta collaborazione con le imprese, per interpretarne i bisogni e le esigenze di innovazione. Il dialogo tra università e impresa è centrale e parte non dall’assunzione del laureato, ma dalla definizione di percorsi di studio congiunti. O almeno questa la strada intrapresa dal Politecnico di Milano, con ottimi risultati, visto che 95% dei nostri studenti è impiegato in modo stabile a un anno dalla laurea“.

Quale è il rapporto tra il Polimi e il tessuto industriale lombardo e in particolare con la città di Milano?

Il rapporto è solido. Contiamo 26 centri di ricerca congiunti università-impresa, JRC, su tematiche di ricerca comune. Molti di questi sono con la grande industria, ma da qualche anno stiamo sviluppando dei programmi per le Pmi e per le filiere. Per rimanere in Lombardia, un esempio per tutti è il JRC MATT – Metal And Transformation Technologies, un centro di ricerca condiviso tra Politecnico di Milano e alcune imprese del settore, A. Agrati S.p.A., Growermetal S.r.l., Mario Frigerio S.p.A. e O.R.I. Martin Acciaieria e Ferriera di Brescia S.p.A, nato a Lecco qualche mese fa. L’obiettivo è quello di sviluppare nuovi approcci alla qualità di filiera, ai materiali innovativi e all’analisi dei Big Data in contesti tecnologicamente maturi con un orizzonte temporale di medio lungo termine. Con la città di Milano poi i cantieri aperti, cioè le progettualità in atto, sono molte e vanno dal 5G con Vodafone e una quarantina di partner, alla mobilità autonoma con ATM e alcune grandi imprese del settore, all’Industria 4.0 con il Competence Center e una quarantina di imprese coinvolte“.

Quale messaggio vuole lanciare da queste pagine ai giovani che vogliano intraprendere il corso di studi in Ingegneria al Politecnico di Milano?

Ho un unico messaggio da dare, quello di scegliere con il cuore, di inseguire la propria passione senza ricorrere a scorciatoie, che non portano mai lontano. So di ripetermi, ma sono convinto che la qualità sia l’unica arma vincente. Ai futuri ingegneri chiediamo molto, sappiamo di tenere l’asticella alta, ma è fondamentale che la loro preparazione di base, su materie dure come la fisica, la matematica, la chimica, siano ineccepibili. Questo senza dimenticare il valore delle competenze soft, quelle relazionali e gestionali su cui stiamo molto investendo negli ultimi anni“.

Prof. Resta, un’ultima considerazione?

Oggi assistiamo a tante proposte, tanti think tank, tante idee. Non mi permetto di aggiungerne altre, ma invito ad accompagnare queste proposte con un approccio fattivo. Cerchiamo di lavorare sull’esecuzione. Efficacia e velocità di execution sono indispensabili per cogliere le possibilità del momento“.

di Michele Rossi

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