Componenti dei computer molecolari

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Un ulteriore passo verso quella che potrebbe essere la trasformazione radicale del comparto tecnologico è stato compiuto dall’Istituto di Fisica dell’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca che, ispirandosi alla natura, dove i componenti funzionali e strutturali sono disaccoppiati in modelli polimerici come il DNA o l’RNA, ha potuto studiare le possibilità di autoassemblaggio delle macchine molecolari. L’elettronica molecolare, infatti, potrebbe rivoluzionare le dimensioni, la velocità e le capacità degli elaboratori, riducendo al contempo il loro crescente consumo energetico. Ma come portare la nanofabbricazione e l’assemblaggio dei componenti accessibili e su larga scala, contenendo il margine di difetto?

La soluzione teorica

Attualmente, piccoli prototipi di circuiti molecolari composti da un paio di molecole vengono prodotti con la microscopia a scansione di sonda, che li manipola una molecola alla volta mediante un lento e pesante cantilever macroscopico. Il lavoro degli scienziati ha proprio l’obiettivo di superare questo limite. Ma se le coppie di basi del DNA conosciute non possono essere utilizzate così come sono e non sono abbastanza selettive in condizioni compatibili con la nanofabbricazione, si è deciso di combinare le possibilità offerte dall’origami del DNA e dalla fotolitografia per realizzare strutture complesse di chip. Obiettivo: trovare coppie complementari in cui due unità si legano in modo affidabile l’una all’altra e non ad altre unità: questa caratteristica, ancora una volta analoga al funzionamento del DNA, consentirebbe di sviluppare modelli di circuiti complessi deterministici. Per fare ciò, è stato proposto di sostituire l’ossatura di zucchero-fosfati con il diacetilene fotosensibile – grazie alla sua efficiente polimerizzazione in queste condizioni -, attraverso simulazioni dettagliate per selezionare i gruppi terminali complementari con legame a idrogeno che avrebbero guidato l’autoassemblaggio su un reticolo nelle condizioni utilizzate nella produzione di chip. Da questo studio, sedici le unità promettenti candidate che aprono la strada alla ricerca sperimentale e a eventuali applicazioni industriali.

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