Il rispetto da parte delle aziende delle norme igieniche sull’abbigliamento e sui dispositivi di protezione individuale è essenziale per garantire un ambiente di lavoro sicuro e salubre.
Ci siamo di recente soffermati su un articolo pubblicato dalla rivista online Malpensa24, risalente al maggio 2024, che riportava un fatto all’apparenza insolito. E cioè, l’accoglimento, da parte di un Giudice del Lavoro di Busto Arsizio, del ricorso presentato da 10 lavoratori di Aviapartner di Malpensa, a cui sono stati riconosciuti “arretrati da 3 mila a oltre 9 mila euro ciascuno”, per l’omesso lavaggio, nel corso degli anni, da parte aziendale dei Dispositivi di Protezione Individuale che sono stati consegnati ai lavoratori con l’obbligo di indossarli durante l’attività lavorativa. In sostanza, il Giudice ha imposto un risarcimento ai lavoratori “per aver dovuto provvedere al posto del datore di lavoro al lavaggio dei loro indumenti protettivi” .
Ci siamo chiesti se il caso qui citato, che ha riguardato lavoratori del settore aeroportuale, sia in qualche modo sovrapponibile a quanto accade in ambito manifatturiero; abbiamo dunque indagato se esistono, e quali sono, le norme igieniche di riferimento per l’abbigliamento e per i dispositivi di protezione individuale – i cosiddetti DPI – di chi lavora in officina o comunque in un ambiente di tipo industriale. Per quanto riguarda i DPI, facciamo riferimento a dispositivi quali:
- i guanti, utilizzati in ambito sanitario, alimentare e industriale per prevenire il contatto con sostanze nocive o contaminanti;
- le mascherine e le visiere, necessarie per proteggere le vie respiratorie in ambienti con polveri, sostanze chimiche o agenti patogeni;
- gli occhiali protettivi, indispensabili per riparare gli occhi da schizzi, luci intense, polveri o sostanze chimiche;
- le cuffie e i tappi auricolari, utilizzati in ambienti rumorosi per prevenire danni all’udito;ù
- le calzature antinfortunistiche, obbligatorie nei settori industriali per proteggere i piedi da urti, scivolamenti o dal contato con sostanze pericolose;
- i caschi di sicurezza, essenziali nei cantieri e nei luoghi dove c’è rischio di caduta di oggetti.
Mancata igiene: rischi e problemi
Per quel che riguarda l’ambito specifico della nostra rivista, cioè quello dell’industria meccanica, i principali DPI da tenere sotto controllo lato norme igieniche sono senz’altro i guanti e le scarpe, in quanto entrano a contatto con sostanze contaminanti (trucioli, liquidi lubrificanti, olii…); le mascherine, che trattengono COV (Composti Organici Volatili) e varie sostanze inquinanti; occhiali e visiere di protezione, indumenti, tappi auricolari e cuffie, che si sporcano con polvere, sudore, schizzi di sostanze chimiche.
Il mancato lavaggio, la scarsa igienizzazione o la frequente sostituzione di tali dispositivi possono provocare rischi per la salute dei lavoratori soprattutto per l’accumulo di batteri e virus, per la possibilità di provocare irritazioni cutanee e allergie, e di causare problemi respiratori e infezioni oculari. Entriamo nel dettaglio: i problemi di salute maggiormente frequenti derivanti da scarsa pulizia di indumenti e di DPI sono le dermatiti da contatto e le infezioni cutanee che possono provocare l’accumulo di sostanze irritanti o allergizzanti, e quindi causare infiammazioni o lesioni cutanee, rossore, prurito, vescicole e desquamazione della pelle, ascessi. Queste, come già accennato, sono tipiche del settore delle lavorazioni su macchine utensili, a causa della presenza a bordo macchina di microparticelle metalliche, olii, grassi, schiume, emulsioni, fumi.
La cattiva pulizia o la mancata sostituzione di mascherine, filtri, tappi per le orecchie, può inoltre provocare l’inalazione di sostanze inquinanti o irritanti, oppure di polveri metalliche con conseguenti problemi respiratori, cioè bronchiti, asma, alveoliti, fino a determinare intossicazioni e avvelenamenti. Nei casi più gravi, cioè di esposizioni prolungate a contaminanti, gli operatori possono essere soggetti a malattie sistemiche quali il disturbo del sistema nervoso, malattie renali o epatiche, con influenza negativa anche sul sistema immunitario e su altri apparati corporei.
Ma non basta: una cattiva igienizzazione può determinare non solo rischi per la salute, ma anche una perdita di efficacia dei DPI. Difatti, dispositivi sporchi o incrostati possono essere meno protettivi: per esempio, i guanti possono diventare porosi, le mascherine meno filtranti, le scarpe antinfortunistiche sporche possono perdere grip, facendo aumentare il pericolo di scivolamenti e di cadute… E ciò può determinare conseguenze anche sulla produttività e sull’ambiente di lavoro, con aumento delle assenze in azienda per motivi di salute, e può influire sul morale dei dipendenti, riducendo la loro motivazione e la loro efficienza.
Direttive e prescrizioni
Per quanto riguarda il tema degli obblighi delle aziende verso i lavoratori, le principali norme relative all’igiene dell’abbigliamento e dei dispositivi di protezione individuale che le aziende devono rispettare sono ricomprese nel Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, conosciuto come Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro, coordinato con il Decreto Legislativo 3 agosto 2009 n. 106 e con i successivi ulteriori decreti integrativi e correttivi. Il Testo Unico risulta dunque aggiornato, nella sua ultima edizione, al giugno 2016. Le prescrizioni in materia riguardano le aziende che operano in particolare nei settori alimentare, sanitario, chimico e manifatturiero, cioè in quei comparti in cui il rispetto di norme igieniche riguardanti l’abbigliamento e i DPI garantisce la sicurezza dei lavoratori riducendo la possibilità di incidenti e prevenendo, in particolare, contaminazioni pericolose per la salute.
Più precisamente: gli indumenti, quali tute e divise da lavoro, e i DPI, devono essere sempre puliti e regolarmente igienizzati o cambiati di frequente al fine di evitare contaminazioni sia di tipo biologico (germi, batteri, virus, funghi, muffe…) sia di tipo chimico con diffusione, e rischio assorbimento o inalazione di sostanze nocive. Ciò vale, ovviamente, in tutti i settori, ma in particolare in quello alimentare e sanitario. A seconda delle situazioni, può essere richiesto che l’abbigliamento di lavoro sia realizzato con tessuti resistenti e, quando necessario, ignifughi, antistatici o impermeabili, in base ai rischi specifici del settore; tessuti che necessitano comunque una continua pulizia e igienizzazione.
Più in generale, le aziende hanno il dovere di fornire abbigliamento professionale e DPI adeguati al contesto lavorativo e correttamente funzionanti; parimenti, devono garantire che siano frequentemente lavati o igienizzati. Non solo: le aziende hanno anche il dovere di assicurarsi che i lavoratori utilizzino correttamente i dispositivi di protezione, devono organizzare corsi di formazione per sensibilizzare il personale sull’importanza dell’igiene e della sicurezza sul lavoro, e hanno l’obbligo di effettuare controlli periodici per verificare lo stato degli indumenti e dei DPI. Per questo, è essenziale seguire protocolli di pulizia regolari e, se necessario, affidare il lavaggio a ditte specializzate.
Violazioni delle norme e possibili sanzioni
L’accertamento del mancato rispetto delle prescrizioni di cui sopra può determinare sanzioni come previste dal già citato Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro e da altre norme igieniche specifiche; tali sanzioni possono essere di tipo amministrativo, civile e penale, a seconda della gravità della violazione; si passa da multe che possono essere dell’ordine di qualche migliaio di euro sino a decine di migliaia di euro, e – per i casi più gravi – alla reclusione e alla chiusura temporanea dell’attività.
La consapevolezza degli operatori
Al momento, oltre all’esempio citato in apertura d’articolo, non sono molti i casi conosciuti in cui i titolari d’azienda sono stati condannati per non aver rispettato le norme igienico-sanitarie relative ai dispositivi di sicurezza e all’igiene sul lavoro. Tuttavia, dallo scoppio della pandemia da Covid 19, è aumentata la consapevolezza sul tema da parte dei dipendenti e degli addetti in officina; quindi, ancora più che gli enti di controllo (ASL, INAIL, Ispettorato del Lavoro) sono proprio i dipendenti a rappresentare il principale richiamo al rispetto delle norme da parte dei datori di lavoro; tale rispetto rappresenta non solo un obbligo legale, ma anche una garanzia di tutela per lavoratori e per i clienti, oltre che la dimostrazione di buon funzionamento dell’azienda stessa.
Chi deve occuparsi del lavaggio e dell’igienizzazione degli indumenti professionali?
Tempo e costi del lavaggio dei capi di lavoro dipendono da alcuni fattori, vediamoli nel dettaglio. Se il vestiario è un normale capo d’abbigliamento e non sussistono accordi contrattuali specifici, il lavaggio è a carico del dipendente. In caso di divise, a seconda del tipo di contratto, l’azienda può occuparsi del lavaggio oppure può rimborsare il dipendente per le spese sostenute oppure ancora può classificare il tempo speso per il lavaggio da parte del dipendente come “straordinario”. Se invece la divisa o il DPI è soggetto a pericolose contaminazioni, il lavaggio deve essere garantito ed effettuato dall’azienda stessa e non essere demandato al dipendente; ciò per garantire la perfetta decontaminazione e il rispetto delle norme igieniche.