Per sostenere la competitività delle aziende italiane è necessario individuare strumenti digitali e di automazione industriale concreti. Ne abbiamo parlato con Alessandro Gentili, amministratore delegato di Hoffmann Italia.
L’anno scorso avete presentato un ecosistema completo che integra non solo i vostri prodotti ma anche servizi, software e consulenza tecnica. Quali erano gli obiettivi iniziali e come si è trasformata la vostra strategia?
«Quando abbiamo presentato questo nuovo progetto alla nostra rete vendita, il punto di partenza è stato il rapporto sulla competitività commissionato da Ursula von der Leyen a Mario Draghi. Uno studio che analizzava il sistema economico europeo rispetto alle altre economie avanzate, in particolare Asia e Stati Uniti. Da quel rapporto emergeva chiaramente che l’Europa sta perdendo competitività, soprattutto a livello industriale, a causa della scarsa produttività del lavoro. Se in Europa il problema è serio, in Italia è ancora più accentuato. Negli ultimi vent’anni la produttività del lavoro è cresciuta solo del 2,3%, contro il +19% medio dell’Unione europea. Fino al 2015 l’Italia era tra i paesi più produttivi, poi è iniziato un progressivo sorpasso da parte di tutti gli altri. Per questo noi sentiamo di avere una missione: fare tutto il possibile per sostenere la competitività delle aziende italiane.
La competitività passa dalla produttività, quindi la nostra ossessione è individuare strumenti concreti per renderle più produttive. L’idea iniziale era quella di creare un ecosistema che integrasse prodotti, servizi e soluzioni in un’esperienza fluida ed efficiente. Questo percorso è ambizioso e non si esaurisce in pochi mesi, ma siamo convinti che sia la strategia giusta per il sistema industriale italiano e per Hoffmann, per distinguerci e primeggiare sul mercato».

A un anno di distanza, quali nuovi strumenti e soluzioni avete introdotto?
«Abbiamo lavorato su più fronti. Prima di tutto abbiamo deciso di dare un nuovo nome al progetto: non parliamo più di “ecosistema” ma di Hoffmann Group Connected. Il termine “ecosistema” rischiava di suggerire un contesto chiuso, autoreferenziale. Invece noi vogliamo sottolineare l’apertura: i nostri prodotti e servizi dialogano tra loro, certo, ma soprattutto devono dialogare con l’esterno, con i sistemi e le tecnologie di altri fornitori. Da qui la scelta di “Connected”, che mette al centro proprio la connessione come valore aggiunto. Abbiamo quindi riclassificato e riorganizzato tutta la nostra offerta: ogni prodotto e ogni servizio oggi viene presentato non solo per le sue caratteristiche tecniche, ma in funzione del contributo che può dare al livello di connessione e di integrazione del cliente. È un cambio di prospettiva importante, perché sposta l’attenzione dal singolo elemento al sistema complessivo.
Parallelamente, i nostri sviluppatori stanno lavorando in modo molto intenso sulle interfacce digitali, vogliamo che i nostri sistemi possano dialogare con ERP, MES e software di terze parti. L’obiettivo è abbattere le barriere e garantire la massima compatibilità. Ma la parte più concreta e già operativa riguarda i nuovi servizi che stiamo introducendo. Penso in particolare al nostro Inventory Management, che sta riscuotendo un grande interesse. Si tratta di una soluzione che affronta un problema comune a tutte le aziende manifatturiere: la gestione delle scorte di materiali indiretti. Spesso parliamo di articoli a basso valore unitario, ma che generano costi di gestione elevatissimi se non vengono governati in modo corretto. Con questo servizio ci prendiamo carico di tutte le attività: dagli ingressi merci allo stoccaggio, dalla distribuzione interna alla riduzione delle scorte, fino alla razionalizzazione dei fornitori. In pratica, ci assumiamo la responsabilità della gestione delle scorte al posto del cliente. Questo significa che non siamo più soltanto un fornitore che consegna utensili, ma diventiamo un partner strategico.
In molte officine, oggi, un operatore deve percorrere decine di metri per raggiungere il magazzino utensili, magari attendere che l’addetto sia disponibile, compilare moduli, scambiare informazioni. Tutto questo è tempo sottratto alla produzione. Con i nostri sistemi automatici e digitali, l’operatore ha accesso immediato e tracciato agli utensili di cui ha bisogno, senza sprechi e senza tempi morti. Tutto diventa più rapido, più ottimizzato e, soprattutto, misurabile».
Parliamo di Industria 5.0. Come può un utensile, oggetto fisico, diventare connesso?
«È una domanda che ci sentiamo fare spesso, perché l’utensile viene percepito come un oggetto “analogico”. In realtà, oggi è possibile renderlo parte integrante di un sistema digitale. Il cuore di tutto è il nostro software Connected Manufacturing, che consente di digitalizzare la gestione degli utensili, degli ordini e delle macchine utensili. Sugli utensili applichiamo dei tag identificativi che permettono di localizzarli in tempo reale. Sembra banale, ma chi lavora in officina sa bene quanto spesso si perdano ore semplicemente per capire dove si trova un utensile, se è stato riposto, se è montato su una macchina, se è ancora in un cassetto o in un distributore automatico.
Con il nostro sistema questa incertezza sparisce e in ogni momento si sa esattamente dov’è e in che stato si trova. Inoltre, quando l’utensile viene misurato tramite macchina di pre-setting, i dati rilevati vengono trasmessi automaticamente alla macchina utensile. A quel punto la macchina non solo utilizza le informazioni per la lavorazione, ma registra a sua volta tutti i parametri: tempi di utilizzo, usura, eventuali riaffilature, fino all’intero ciclo di vita. Tutto viene archiviato in un cloud sicuro e accessibile. Il risultato è che l’utensile, da semplice oggetto fisico, diventa parte di un flusso informativo continuo, che unisce il magazzino, la macchina e la gestione digitale».
Questa trasformazione ha richiesto un cambio di mentalità anche per la vostra forza vendita. Come l’hanno accolta i commerciali?
«Direi molto bene, anche meglio di quanto ci aspettassimo. I nostri referenti tecnico-commerciali hanno capito che non potevano più limitarsi a fare i semplici venditori transazionali, concentrati sul prezzo e sulla consegna di un utensile. Il mercato sta cambiando e il cliente si aspetta di avere al suo fianco un consulente della produttività. È un percorso che richiede impegno e formazione. Per questo abbiamo investito su due livelli: da un lato coach esterni, che hanno lavorato con la nostra rete sulle competenze soft, come la vendita di valore, la negoziazione e la difesa del margine; dall’altro i nostri formatori interni, che hanno fornito conoscenze tecniche aggiornate sulla nuova value proposition e sull’integrazione tra prodotti e servizi.
Oggi il referente tecnico-commerciale deve comportarsi come un direttore d’orchestra. Non può conoscere nel dettaglio i 120.000 articoli del nostro catalogo, sarebbe impossibile. Il suo compito è intercettare i bisogni del cliente e attivare gli specialisti giusti, che si tratti di utensili da taglio, strumenti di misura, soluzioni di inventory management o progetti di automazione. Questa evoluzione renderà non solo i nostri tecnici-commerciali più forti, ma anche le aziende clienti più competitive. Perché avranno al loro fianco un interlocutore capace di costruire soluzioni complete, integrate e su misura».
E i clienti come hanno accolto questa nuova strategia?
«Direi con grande interesse e, soprattutto, con pragmatismo. I clienti hanno subito colto che per sfruttare al meglio un prodotto non basta avere l’oggetto fisico, ma occorre poter contare anche su tutti i servizi correlati che ne amplificano l’efficacia. In altre parole, non comprano più un utensile fine a sé stesso, ma la capacità di farlo lavorare meglio, più a lungo e con meno costi di gestione. Un aspetto che emerge sempre più chiaramente è la volontà delle aziende di semplificare la propria catena di fornitura. Invece di gestire tanti interlocutori diversi – ciascuno con cataloghi, procedure e contratti propri – preferiscono affidarsi a un unico partner capace di fornire prodotti, servizi e consulenza in un pacchetto integrato.
Questo ci ha permesso di diventare, per molti, un punto di riferimento stabile e affidabile. E questa fiducia ha un effetto “trascinamento”: quando proponiamo un prodotto, diventa più facile presentare anche i servizi collegati, perché il cliente ha già sperimentato il valore dell’integrazione. In molti casi partiamo da una fornitura tradizionale – ad esempio utensili da taglio – e nel giro di pochi mesi arriviamo a gestire anche inventari, automazione industriale leggera, consulenze su processi produttivi. È un percorso graduale ma costante. Un dato significativo è che il fatturato dei servizi sta crescendo a un ritmo superiore alla media aziendale. Questo è la conferma che i clienti non vedono nei servizi un “di più”, ma un elemento imprescindibile per essere competitivi».
Avete definito dei KPI per misurare l’impatto di Hoffmann Group Connected?
«Sì, e ci tengo a sottolinearlo: per noi non bastava avere indicatori generici, serviva un parametro capace di restituire in modo sintetico il livello di adozione reale del sistema presso i nostri clienti. Abbiamo quindi sviluppato un indicatore proprietario, che prende in considerazione i diversi elementi di connessione introdotti dal cliente – automazione industriale, software, inventory management, servizi di riaffilatura, utensili connessi, consulenze Tool Concept, sistemi di presetting, e così via – e assegna a ciascuno un peso in base alla capacità di generare valore. In questo modo otteniamo un punteggio che non fotografa solo la quantità di prodotti acquistati, ma il grado effettivo di trasformazione del cliente verso un modello produttivo più digitale, automatizzato e integrato.
I risultati sono incoraggianti. Nel primo semestre del 2025 abbiamo registrato una crescita del 27% rispetto all’anno precedente. Oltre ai nostri indicatori interni, raccogliamo direttamente dai clienti dati oggettivi sull’impatto della trasformazione. Monitoriamo insieme riduzione dei costi, incremento della produttività e aumento della produzione effettiva. Ad esempio, grazie all’introduzione dell’automazione industriale un’azienda è riuscita a raddoppiare la produzione. Una macchina utensile che prima lavorava su due turni ora opera 20 ore al giorno senza interruzioni, con un controllo di processo stabile e costante. Questi numeri dimostrano che non è solo teoria, è valore concreto che il cliente percepisce subito».
Veniamo all’automazione industriale, il progetto Garant Automation Basic punta a portarla nelle piccole officine. Qual è stata la risposta del mercato?
«L’interesse c’è, ed è molto forte. Spesso, però, le piccole officine vivono l’automazione industriale come qualcosa di distante e complesso. Molti imprenditori ci dicono: “Bello, ma non fa per noi”. In realtà, con Garant Automation Basic abbiamo proprio voluto ribaltare questa percezione. Il nostro sistema è flessibile e modulare, può essere applicato anche a macchine non di ultima generazione, è mobile e non richiede investimenti strutturali ingenti. Parliamo di un costo nell’ordine dei 60-70 mila euro, con un ritorno medio sull’investimento di 11-12 mesi. Significa che in meno di un anno l’investimento si ripaga, e da lì in poi genera soltanto valore. Ma la vera motivazione, oggi, va oltre la convenienza economica. In tutta Europa – e l’Italia non fa eccezione – le aziende faticano a trovare manodopera qualificata. Noi di Hoffmann Italia accompagniamo il cliente analizzando i suoi dati, calcolando insieme il ROI e mostrando scenari realistici. Questo approccio collaborativo rafforza la fiducia reciproca e riduce le barriere psicologiche all’ingresso».
Introdurre l’automazione industriale richiede anche formazione del personale. Come vi muovete su questo fronte?
«Questo è un punto cruciale. Non ci limitiamo a vendere e installare una macchina, perché sappiamo bene che da sola non porta risultati. Per questo adottiamo un approccio “chiavi in mano”. Partiamo sempre dall’analisi del contesto produttivo, valutando i macchinari già presenti, i flussi di lavoro, gli spazi disponibili. Poi personalizziamo la soluzione in base alle esigenze specifiche. Solo a quel punto procediamo con installazione, collaudo e formazione. La formazione è parte integrante del progetto, i nostri specialisti restano accanto agli operatori finché la macchina non raggiunge gli obiettivi promessi. In questo modo non vendiamo un impianto, ma accompagniamo il cliente in un percorso di crescita reale. Inoltre, una volta introdotta l’automazione industriale, proponiamo soluzioni complementari che ne aumentano l’efficacia, come sistemi di serraggio più avanzati, utensili ad alte prestazioni o software dedicati. È un processo continuo, che evolve nel tempo e crea valore crescente per il cliente».
C’è anche il tema della sostenibilità. Come lo vivono i vostri clienti?
«È un tema ormai centrale. In Italia abbiamo circa 8.000 clienti attivi e possiamo dire che le medie e grandi imprese non si limitano più a chiedere prodotti efficienti, ma pretendono che i fornitori abbiano sistemi di sostenibilità avanzati, verificabili e certificati. In alcuni casi si tratta di un requisito obbligatorio per partecipare alle gare. Questo significa che la sostenibilità non è più percepita come un “valore etico” o una questione di immagine, ma come una condizione di accesso al mercato. Chi non è in grado di dimostrare impegni concreti rischia di essere escluso. Noi lo viviamo come una grande opportunità, perché le nostre soluzioni – dall’ottimizzazione delle scorte alla riduzione dei consumi, dall’automazione al prolungamento del ciclo di vita degli utensili – contribuiscono in modo diretto e misurabile alla sostenibilità dei processi produttivi. E i clienti lo apprezzano: vedere che un investimento tecnologico porta benefici economici e, contemporaneamente, riduce sprechi ed emissioni, rafforza la percezione che la strada intrapresa sia quella giusta».