Domani è un altro giorno

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fabbrica del futuroMentre stava sul punto di affogarsi, una giovane donna viene fermata da un medico, il cui compito è di salvare persone che vogliono farla finita; la giovane, dietro l’insistenza del medico, lo segue all’ospedale dove viene a conoscenza di altre storie simili, di gente che ritrova la voglia di vivere dopo aver tentato il suicidio. La giovane capisce che la vita va vissuta e affrontata anche nelle difficoltà più dure, perché il domani può sempre riservare sorprese positive. Questa è la trama di “Domani è un altro giorno”, un film del 1951 che ho rivisto in TV. Come dire: il futuro è sempre appena ricominciato e ogni volta può essere migliore. Accusato di scarsa vigilanza, il presente può essere chiamato a risarcire i danni di domani; si salva solamente chi riesce a dimostrare, per esempio, di non aver potuto impedire un disastro ecologico, prova questa difficile da fornire. Strano destino quello del futuro!

Qualche anno fa, quando nelle imprese più avanzate s’installavano i primi “spezzoni” di automazione, tutti giuravano sulla sua missione riparatrice dei mali passati; oggi, c’è chi definisce la fabbrica automatica una cosa da fantascienza e sposta in un lontano futuro il suo avvento. “Cose da pazzi – dicono i più conservatori – una fabbrica senza uomini!”. Ma noi sappiamo che non ci sono limiti al progresso, tant’è che quella “cosa da pazzi” è diventata la fabbrica digitale, dove l’uomo è il miglior giocatore in campo. Un presente senza responsabilità per le nuove generazioni, senza un “medico” disposto a intervenire come nel caso della giovane donna, serve solo a rendere tranquilla la vita quotidiana; ma così il presente non esiste, perché il futuro è di ieri. Scusate questo gioco di parole, ma è un elemento che porta a considerare il futuro stesso un po’ stretto. Per fortuna, la ristrettezza mentale nei riguardi del futuro prossimo si allarga nelle proiezioni più lontane. L’avvenire si è appiattito; a volte la gente resta abbagliata dallo splendore di un’invenzione, per esempio la stampa 3D, ma perde la capacità di critica; oppure, per apparire informata, ricorre all’indifferenza e questo atteggiamento serve come scusa alle imprese che non investono in ricerca e sviluppo. Ecco, in ciò consistono l’appiattimento e la strettezza del nuovo futuro. Prendiamo la disoccupazione giovanile: è grave che il fenomeno sia ormai accettato passivamente, quasi senza speranza; tra precarietà, contratti a termine, fantomatiche agevolazioni fiscali per le società, assunzioni a tempo più o meno determinato, si continua a ripetere che gli italiani hanno scoperto un nuovo modo di vivere e lavorare… Ma senza l’euforia che c’era una volta.

Le incertezze del mercato globale, della ripresa, delle azioni politiche e sindacali sembrano ridimensionare le regole del progresso; ma il mondo va avanti, infatti ci sono ancora tante imprese con un futuro, che sono tornate all’utile, per fortuna di tutti sia ben chiaro, imprese che si autofinanziano, che sono tornate al lavoro… Costi quel che costi, cioè sempre di meno; se non altro quello è ripetitivo. Secondo molti esperti, nel prossimo futuro la metà degli operai alle catene di montaggio sarà sostituita da robot, ma ci vorrà più gente a costruirli e a venderli. E i robot faranno gli uomini felici? Penso di no. Un’antica poesia cinese dice: “Una volta avevamo il tempo di cercare la tranquillità. Ora non più”. Era lo sfogo di un generale coinvolto in una lunga guerra. Ma come allora, il futuro è nelle nostre mani.

di Enzo Guaglione

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