Origine e significato fisico delle tensioni residue

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di Francesco Chichi

I trattamenti e le finiture a cui viene sottoposto un componente rientrano solitamente in quella disciplina che è l’ingegneria delle superfici, ossia quella branca dell’ingegneria che si propone di modificare il comportamento prestazionale della superficie dei componenti.

Del resto, se escludiamo le poche qualità “integrali” come la resistenza a rottura, le prestazioni di un componente sono guidate proprio dalle sue caratteristiche superficiali, vuoi perché l’interfaccia con le sollecitazioni esterne (usura, aggressioni chimiche ed ambientali, ecc) è ovviamente la superficie, vuoi perché le sollecitazioni meccaniche finiscono sempre (tranne il caso ideale della trazione pura) per avere una distribuzione concentrata sulla superficie (flessione, torsione).

Ecco quindi lo sviluppo di tutta una serie di processi finalizzati a modificare lo stato superficiale dei componenti: trattamenti termici, termochimici, finiture superficiali, deposizioni e chi più ne ha più ne metta……

Processi affatto diversi sia come obbiettivo sia come modalità attuative, ma tuttavia hanno un elemento in comune: comportano la comparsa, sulla superficie del componente e negli strati di materiale immediatamente sottostante, di stati di sollecitazione meccanica definiti appunto “tensioni interne” o “tensioni residue” .

Talvolta obbiettivo principale del trattamento effettuato, più spesso effetto collaterale dello stesso, in ogni caso questi stati tensionali sono un compagno inseparabile per ogni intervento finalizzato ad alterare lo stato superficiale di un materiale, e in questo breve articolo andremo ad illustrare quali siano i diversi meccanismi che, isolatamente o in combinazione, sono responsabili della comparsa di questi stati tensionali.

TENSIONI RESIDUE VS TENSIONI INTERNE  

Quando si parla degli stati tensionali presenti in un componente , si sentono utilizzati due termini apparentemente diversi, ossia “tensioni residue” o “tensioni interne”: quale è la differenza?

La differenza è… nessuna, nel senso che si tratta di due definizioni perfettamente equivalenti, che semplicemente si concentrano su una spetto o su un altro: parlando di “tensioni residue” si enfatizza il fatto che tali tensioni sono una “memoria” che rimane nel materiale una volta chi si sia completata una determinata trasformazione, mentre parlare di “tensioni interne” significa concentrare l’attenzione sul fatto che tali stati tensionali si sviluppano e si equilibrano completamente all’interno di un componente.

Del resto, questa doppia denominazione non solo italiana, in quanto anche nella terminologia internazionale si parla indifferentemente di “internal stress” “residual stress” “lock-in stress”, con le sfumature che abbiamo già visto per l’italiano.

Chiusa l’introduzione lessicale, vediamo al sodo… comunque le si voglia definire, l’oggetto delle nostre considerazioni sono tutte quelle tensioni presenti all’interno di un corpo quando questo è in condizioni di equilibrio con l’ambiente circostante, e quindi senza alcuna evidenza macroscopica.

Figura 2 – Andamento tipico delle tensioni interne in una sezione di una barra : elevati stati tensionali concentrati nella sezione corticale vengono ad essere bilanciati da stati tensionali di segno opposto e ridtta intensità distribuiti lungo il cuore della sezione. Un grafico completamente analogo sarebbe ovviamente tracciabile anche in senso orizzontale

Ma quali sono meccanismi fisici che stanno alla base dell’instaurarsi di questi stati tensionali?

Personalmente credo che la chiave di lettura più congeniale per capire le tensioni residue, ma soprattutto i loro effetti, sia quella energetica: le tensioni residue possono essere viste come una forma di accumulo di energia conseguente alla presenza di disomogeneità nelle caratteristiche meccaniche del materiale: quello che differenzia i vari casi è la natura di tale disomogeneità, natura che la letteratura differenzia in chimica, termica o metallurgica e che possono esprimersi in forma quanto mai varia, sotto forma di differenza dei  coefficiente di espansione termica, del modulo elastico, del limite di snervamento e cosi via.

Sempre a livello di letteratura, le possibili origini di tali disomogeneità vengono cosi individuate, eventualmente anche interagenti:

  • Origine termica
  • Origine meccanica (deformazione plastica)
  • Origine chimica
  • Origine metallurgica(transizione di fase)

Per quanto riguarda l’origine termica, i meccanismi attraverso cui si vengono a creare tensioni residue per via termica sono essenzialmente due:

  • Variazioni di temperatura In materiali multifasici le cui fasi abbiano coefficienti di espansione termica distinti
  • Processi di raffreddamento non uniformi che portano a deformazioni differenziali tra le diverse zone dello stesso componente.

Questo è quanto accade praticamente sempre in ogni trattamento termico, in cui il raffreddamento superficiale precede sempre il raffreddamento a cuore: in questo caso il raffreddamento esterno avviene quando il cuore si trova ancora in uno stato di dilatazione termica, cosicchè quando è il cuore a raffreddarsi a temperatura ambiente, la sua contrazione è vincolata dalla parte esterna ormai solidificata: come evidente in fig 1, l’effetto è la nascita di uno stato tensionale di compressione statica sulla parte esterna, controbilanciato da uno stato tensionali di trazione a cuore.

Fig 3 – Il cosidetto “modello termodinamico di Morrow” di una lavorazione per asportazione di truciolo: un modello che vede il componente in lavorazione come soggetto a vincoli rigidi esterni e l’utensile come una sorgente di sollecitazione elastica, plastica e termica, via via decrescente in funzione della profondità

Questo ultimo punto, ossia che al presenza di stati tensionali di compressione in una zona del materiale deve essere accompagnata da stati tensionali di compressione in altre zone, è un aspetto fondamentale per una corretta interpretazione del fenomeno: dovendo essere le tensioni residue un sistema equilibrato, ne consegue che non solo la risultante delle tensioni ma anche la risultate dei relativi momenti deve sempre essere nulla.

Da semplici considerazioni di fisica ne deriva quindi quella che è la più tipica distribuzione delle tensioni residue lungo una sezione di un componente, nel quale  elevati stati tensionali in una ridotta sezione corticale (che siano di trazione compressione concettualmente non fa differenza) sono bilanciati da stati tensionali di segno opposto e di ridotta entità negli strati sub corticali e nel cuore del componente (fig 2).

Possiamo quindi dire che nel caso delle tensioni residue l’effetto di elevate alterazioni su un sottile strato corticale vengono ad essere bilanciate da una risposta elastica moderata ma distribuita su una porzione preponderante del materiale.

Questa considerazione, qui ricavata nel caso del trattamento termico è in realtà di validità generale, derivante da semplici considerazioni di fisica dello stato solido applicate ai materiali metallici: che si tratti di una lavorazione meccanica, di un raffreddamento o di un qualsiasi altro intervento sulla superficie esterna, la capacità di penetrazione è limitata dalla diffusività termica o dalla trasmissione a taglio del materiale, due fattori che nei metalli di uso ingegneristico sono sempre limitati….

Ritornando ai nostri esempi, un altro caso interessante in cui il meccanismo termico è concomitante ad altri meccanismi sono invece le deposizioni con apporto termico,  come ad esempio nei processi HVOF o flame spray , in cui il materiale di base ed il materiale di riporto sono in condizioni termiche ben diverse, quindi con processi di raffreddamento altrettanto diverse: basti pensare ad una applicazione HVOF dove il flusso depositante può arrivare a 3000°C ed il materiale su cui avviene il deposito ad una temperatura che magari è dell’ordine del centinaio di gradi.

Passando poi al caso in cui l’origine sia invece meccanica, si ha che la nascita di tensioni residue passa sempre la creazione di deformazioni plastiche , con le tensioni residue che sono l’effetto della risposta elastica del materiale adiacente non deformato ma adiacente alla deformazione.

Tali deformazioni possono essere macroscopiche come nei processi di forgiatura o microscopiche come effetto secondario delle lavorazioni per asportazione, ma il meccanismo rimane sempre invariato.

Cosi come appena visto nel caso dell’origine termica, anche nel caso delle lavorazioni meccaniche difficilmente si possono evitare sovrapposizioni con altri meccanismi , in primis quello termico: ad esempio per le lavorazioni meccaniche per asportazione quanto avviene è rappresentabile mediante modelli combinatori come il  “modello termodinamico di Morrow” (fig. 3) che vede nell’utensile una sorgente di sollecitazione elastica, plastica e termica, via via decrescente in funzione della profondità.

Come esempio , nella figura 4 è riportato l’andamento qualitativo delle tensioni residue secondo i due assi principali per diverse impostazioni di lavorazione superficiale: e’ facile vedere come si possano ottenere indifferentemente tensioni residue trattive o compressive semplicemente combinando lo spostamento relativo dell’utensile rispetto alla superficie del componente.

Per concludere, si deve ritenere di origine chimica la nascita di tensioni residue quando siamo di fronte a cambiamenti di volume conseguenti a reazioni chimiche , precipitazioni o trasformazione di seconde fasi, come avviene per esempio nei trattamenti termo-chimici degli acciai.

Ad esempio, in un processo di nitrurazione si ha la diffusione di azoto in un materiale ferroso in seguito a permanenza prolungata del materiale in un atmosfera satura di azoto atomico che, per diffusione interstiziale, penetra nel reticolo cristallino del ferro alfa e forma un suo reticolo cristallino di azoto atomico.

Durante il raffreddamento l’azoto atomico si combina con elementi volutamente dispersi nell’acciaio , come Al, Cr, Mn, Mo e  V, a formare nitruri la cui precipitazione va a rafforzare la lega , inibendone lo spostamento delle dislocazioni. In tali condizioni la dimensione reticolare del materiale in superficie risulta tendenzialmente maggiore rispetto a quella del materiale a cuore, più povero di nitruri e carburi. E poiché il processo di solidificazione avviene comunque prima in superficie e poi al cuore, ne consegue un effetto compressivo per lo strato superficiale.

Pertanto se anche l’effetto ricercato è un indurimento dello strato superficiale, risulta sempre presente anche una tensione residua di compressione sulla superficie del materiale, conseguente alla deformazione elastica del reticolo cristallino del materiale in superficie.

Considerazioni sostanzialmente analoghe possono essere fatte per le transizioni di fase che comportano una variazione nella struttura cristallina del materiale, con conseguente alterazione volumica dei singoli grani, che all’interno di un contesto più o meno rigidamente vincolato porta alla nascita di tensionamenti elasto-plastici nel materiale.

Tale effetto è ancora più accentuato nel caso di leghe multifasiche , nelle quali oltre alla variazione di volume intrinseca dei singoli grani si devono anche gestire la differenza di variazione di volume tra le diverse fasi.

Nel caso di leghe multifasiche il meccanismo risulta ancora piu complesso e articolato : i meccanismi attraverso cui si arriva ad un cambiamento di fase possono essere sotanzialmente due:

  • Diffusivo (o distorsivo)
  • Ricostruttivo

Nel caso di trasformazioni diffusive, ossia quelle in cui la trasformazione avviene per spostamento coordinato a breve raggio di singoli atomi, la struttura cristallina  finale risulta dalla deformazione ordinata della struttura cristallina iniziale. In questo caso la variazione di volume indotta risulta anisotropa e prevede la presenza di un piano “invariante” (habit plane) e di una variazione dimensionale perpendicolare a tale piano. (incidentalmente, e’ questo il caso tipico delle strutture martensitiche, dove sono proprio le tensioni residue intergranulari  a giustificare le elevate caratteristiche meccaniche dei materiali aventi questa struttura).

Nel caso di trasformazioni  ricostruttive, ossia quelle in cui l’intera massa degli atomi subisce una diffusione casuale , la struttura cristallina finale risulta non correlata con quella iniziale. In questo caso la variazione volumica risulta isotropa . Nel caso degli acciai questa e’ la struttura tipica  della ferrite presente nell’austenite residua.

E’ quindi facile comprendere come in una lega bifasica costituita da grani aventi diversa struttura successivamente al raffreddamento siano presenti forti stati tensionali interni: caso tipico sono gli acciai ad elevato tenore di austenite residua.

Un interessante esempio di come le transizioni di fase e la presenza di sistemi multifase comportino la nascita di tensioni residue , si possono confrontare le tensioni residue presenti in 3 diverse leghe di acciaio al variare della temperatura.

Fig 4 – Esempio di effetto combinatorio delle sollecitazioni termiche e dinamiche nella creazione di tensioni interne in componenti lavorati per asportazione di truciolo: a parità di contributo termico la variazione della modalità di sollecitazione meccanica comporta una variazione dello stato tensionale residuo indotto

Mentre per l’AISI 316 si osserva un andamento lineare, che conferma la natura puramente termica delle tensioni residue che si instaurano nel materiale, per gli altri due acciai al di sotto dei 700°C si evidenziano gli effetti delle transizioni di fase.

CONCLUSIONI

Le tensioni residue nascono dalla presenza all’interno di materiale di “disomogeneità” tali da indurre una risposta elastica del materiale stesso, risposta elastica di cui le tensioni residue sono la manifestazione macroscopica.

Tali disomogeneità possono riguardare una qualsiasi caratteristica meccanica del materiale o il suo stato metallurgico, con i casi più frequenti costituiti da deformazioni differenziali indotte nel raffreddamento o deformazioni plastiche indotte da lavorazioni meccaniche , ma in pratica ogni passaggio  trasformazione  metallurgica, chimica o termica  influisce significativamente sulle tensioni residue.

I trattamenti e le finiture superficiali ovviamente non fanno eccezione, e anzi la loro caratteristica di intervenire solo sulla parte corticale del materiale induce inevitabilmente una “disomogeneità” in senso trasversale li rende particolarmente efficaci (nel bene e nel male…) nell’indurre tensioni residue nel materiale trattato.

 

 

 

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