La voce del committente: «Troppa artigianalità tra gli stampisti italiani»

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Intervista a Salvatore Ricca, direttore degli acquisti di Coster Tecnologie Speciali Spa.

Inquadrato dal punto di vista di un committente attivo a livello mondiale nel settore delle materie plastiche qual è il vero volto dello stampista italiano all’inizio del 2014, dottor Ricca?

Vedo prevalere nell’industria aziende specializzate in stampi destinati a un solo settore e soprattutto nel caso dell’automotive molto abili su serie tutto sommato ridotte. Questo non è però il caso di Coster che agisce su articoli di precisione in grandi serie e questo influenza anche le caratteristiche delle offerte che possono variare notevolmente a seconda della società interpellata. Ciò non toglie che si possa fare affidamento su partner storici legati a noi anche da decine di anni. Il problema è piuttosto che stento a trovare in Italia e nel mio comparto società di dimensioni importanti, dalle cento unità in su, ben più diffuse all’estero dove si riscontra minore artigianalità, più tecnologia e più automazione. In una parola, c’è autentica industrializzazione.

 

Questo si riflette a Suo avviso anche sull’andamento del segmento e sulla qualità offerta?

Anche gli artigiani puri sanno proporre qualità elevate e incontrare così le nostre esigenze. Ma le dimensioni non adeguate hanno inciso sulla crisi di una varietà di imprese. Servono dotazioni tecnologiche all’altezza per la prova degli stampi, per esempio, e comunque efficienti nella produzione di grandi serie. Per le grandissime ci siamo non a caso rivolti talora a società francesi o tedesche benché più del 50% dei nostri fornitori sia italiano.

Ritiene che le reti di impresa potrebbero risolvere il problema delle dimensioni lillipuziane?

Potrebbero essere una soluzione. Penso a poli di aggregazione ricchi di servizi che spazino dalla tecnologia dei materiali, alla disponibilità di presse per prova stampi e rilievi dimensionali certificati. So per certo di consorzi che provano a tradurre questo modello in pratica. Ma la paura di condividere è troppo radicata nel nostro Paese.

Un approccio di tipo industriale è auspicabile anche nell’ottica di un export anti-crisi?

La crisi è generalizzata ma vedo troppi costruttori di stampi quasi mono-cliente, forse proprio per mancanza di strutture con cui stabilire rapporti da veri buyer. All’estero esistono grandi fabbricanti che dinanzi a un disegno stilano capitolati molto precisi, ampi, che offrono maggiori garanzie. Va detto che per noi lo stampo è uno strumento per la produzione ripetitiva di centinaia di milioni di pezzi tutti eguali con precise esigenze di costanza nel tempo: questo è un aspetto molto importante nella ricerca di fornitori nuovi e adeguatamente attrezzati. L’artigianalità tende a prevalere nelle relazioni fra stampista e committente, improntate spesso a un’amichevole approssimazione e a un approccio empirico alla produzione efficiente ed economica di grandi serie di componenti plastici.

 

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