Vincere coniugando pubblico e privato

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La competitività globale richiede da tempo all’Europa di mettere in atto strategie nuove, e in alcuni casi non convenzionali, per continuare a sostenere il suo sviluppo economico e quindi anche il suo ruolo determinante all’interno degli equilibri mondiali. Alla globalizzazione competitiva si aggiunge oggi anche la tematica della sostenibilità ambientale, non più rimandabile e via via sempre più normata.

È sempre più evidente la difficoltà di trovare singole entità – imprese, università, pubbliche amministrazioni – pur anche riunite in distretti o centri di competenze, in grado di tracciare e soprattutto perseguire un percorso virtuoso verso uno sviluppo stabile e duraturo. Alcuni paesi hanno ben compreso che la crescita è necessariamente legata a una sufficiente massa critica di risorse e competenze orientate a realizzare percorsi univocamente orientati. Trattasi perlopiù di paesi strutturalmente monolitici dal punto di vista mentale, culturale, burocratico e industriale. Il nostro paese, individualista per cultura, frazionato in una miriade di aziende, in centinaia di iniziative tra loro sconnesse, privo di una strategia industriale come «imprinting» nazionale, si trova maggiormente scoperto davanti alla «competitività globale». La difesa di posizione della maggior parte delle nostre imprese è ammirevole. Ma anche per il nostro paese è veramente arrivato il momento di mettere insieme le forze per costruire una motrice robusta che possa avere la potenza necessaria per trainarci con sufficiente vigore verso stazioni sempre più lontane. Con la sola iniziativa «privata», rischiamo di non farcela. Purtroppo, invece, anche a risorse finanziarie sempre più limitate, ci rendiamo conto che è sempre difficile smantellare rendite di posizione specifiche che, da sole, poco o nulla sono in grado di contribuire all’obiettivo generale. Considero per esempio rendita di posizione un certo tipo di concorrenza che ancora troppo spesso si vede praticata tra università, ventri e istituti di ricerca. Se non mi meraviglia un’impresa che si mette in competizione diretta con un’altra impresa sullo stesso prodotto, continuo però a meravigliarmi quanto della risorse pubbliche, nazionali o europee, venga ancora disperso in mille rivoli a entità di ricerca che hanno per obiettivi praticamente le stesse finalità. Sono favorevole alla competizione nella ricerca, perché stimola i neuroni tenendoli sempre in una rigenerante agitazione adrenalinica, ma mi vengono i fumi, quando, nell’ambito della moderna veloce circolazione delle informazioni, mi capita di scoprire progetti uguali o molto simili che portano ovviamente a risultati uguali o molto simili. Questo soltanto perché singole regioni o aree o individui specifici sono riusciti ad agguantare risorse finanziarie – di per sé potrebbe anche essere positivo – ma finalizzate a obiettivi che perlopiù non sembrano condivisi in un ambito di una ricerca coerente e ottimizzata nell’interesse generale del nostro paese. Senza contare le iniziative-involucro che servono praticamente soltanto per drenare denaro. Né giova, in questo contesto, che molti ottimi ricercatori si trovino periodicamente per scambiarsi interessanti informazioni. In questo obiettivo critico non ci sono singoli studiosi – quasi giornalmente incontriamo ottimi talenti – ma vecchie abitudini che ancora oggi continuano ad arroccare iniziative e progetti in una continua strenua difesa corporativa. Vecchie abitudine, anche in nuove iniziative. Il programma quadro Horizon 2020 della Comunità europea è una grande opportunità per fare quadrato attorno a una serie di progetti di ricerca e innovazione condivisi e finalizzati a una strategia mirata, non dispersiva. Una strategia che possa delineare finalmente un percorso virtuoso di sviluppo, una guida per il futuro. Auspico che pubblico e privato si impegnino in uno sforzo unitario per creare la massa critica oggi necessaria per detenere solide competenze spendibili con successo nel mondo.

di Marco Lombardi

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