Le tecnologie di lavorazione additive

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pala-di-turbina-by-arcamCi sono solo due tecnologie per la stampa 3D di oggetti in metallo. La prima, che ha nomi diversi a seconda dei produttori che l’adottano, sfrutta un raggio laser per sinterizzare le polveri. La seconda, inventata e adottata fino a oggi da un solo produttore, le fonde mediante un fascio di elettroni. Eccole a confronto per capire quale sia meglio adottare caso per caso.

Le tecnologie impiegate per la stampa 3D non sono molto numerose, anche se i produttori di stampanti amano apportare modifiche più o meno importanti a quelle di base, chiamandole poi con nomi differenti. Da una parte ci sono le tecnologie che solidificano materiali plastici in polveri o resine mediante la luce o il calore, mentre dall’altra ci sono quelle che sfruttano il laser o i fasci di elettroni per solidificare polveri di metallo. Se per i termoplastici le tecnologie sono piuttosto variegate, per quanto riguarda i metalli sono sostanzialmente due, anch’esse definite spesso con nomi e sigle diverse. Così, la costruzione di oggetti in metallo tramite fusione laser è per lo più nota come DMLS (Direct Metal Laser Sintering), ma c’è chi la chiama SLM (Selective Laser Melting), Laser Cusing, DMP (Direct Metal Printing) o, soprattutto in ambito accademico, SLBM (Selective Laser Beam Melting) piuttosto che SLBS (Selective Laser Beams Sintering). La sostanza varia di poco, nel complesso, per queste tipologie produttive. Per la tecnologia di produzione additiva con metalli che sfrutta i fasci di elettroni il discorso è più semplice, perché è prerogativa di un unico produttore, Arcam, che la chiama EBM (Electron Beam Melting), anche se sempre in ambito accademico può capitare di sentirne parlare con l’acronimo di SEBM (Selective Electron Beam Melting).

L’articolo prosegue all’interno dello sfogliabile, da pagina 42: http://pixelbook.tecnichenuove.com/newsstand/macchineutensili/viewer/e08619abaa24e7f5ccd303f22840f7c5/.

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