Stampaggio a iniezione: le nuove frontiere

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La sua natura eccellente non è in discussione e la sua qualità è tale da consentirgli di giocare un ruolo chiave per l’approdo dell’Italia alla seconda piazza in Europa per surplus manifatturiero da esportazione fuori dall’UE. Ma il settore soffre le contraddizioni del paese e gli effetti dell’austerity.

Le tecniche

Tra i processi di produzione massiva un ruolo molto importante è sicuramente ricoperto dalla tecnologia di stampaggio a iniezione (injection molding) di materiale polimerico. La maggior parte delle componenti plastiche che troviamo sul mercato o che comunque rientrano nell’uso comune, sono realizzate attraverso questa tecnologia che risulta relativamente semplice e capace di soddisfare le richieste di alti volumi di produzione con costi contenuti. Negli anni, grazie alle continue ricerche e miglioramenti condotti, si è cercato di adattare il processo anche per l’impiego di altri materiali, così da ampliarne i campi di applicazione. In questo modo si è arrivati allo sviluppo di tecniche definite di Powder Injection Molding (PIM).

La tecnologia di stampaggio per iniezione, a prescindere dal materiale impiegato, risulta adatta alla produzione di forme complesse, caratterizzate da alta precisione geometrica e strette tolleranze, che anche se necessitano di lavorazioni aggiuntive, al momento dell’estrazione dagli stampi, presentano una forma molto vicina a quella finale della componente. Queste caratteristiche sono state le leve che hanno portato allo sviluppo della tecnologia per altri tipi di materiali oltre ai classici polimeri.

Il potenziale di questa tecnologia sta prevalentemente nella capacità di combinare la flessibilità progettuale caratteristica del processo di injection molding per materiali polimerici e la possibilità di produrre una varietà di forme pressoché illimitate. In particolare si possono identificare due tecnologie sviluppate attraverso questo sistema: la Ceramic Injection Molding (CIM) e la Metal Injection Molding (MIM). Entrambe sono caratterizzate dall’impiego di polveri, definite feedstock, la prima sfrutta polveri a base ceramica, mentre la seconda a base metallica. In entrambi i casi, le polveri sono mischiate con un legante, solitamente di tipo polimerico, per permettere una facile iniezione del materiale all’interno degli stampi così da assicurare il completo riempimento delle cavità. Il processo di PIM prevede tre fasi principali, quattro se si considera anche la preparazione del feedstock. Come anticipato, il feedstock è composto da polvere (ceramica o metallica) unita ad un legante di origine polimerica. Le tre fasi principali che caratterizzano il processo vero e proprio, sono rappresentate dalla fase di injection, in cui il feedstock viene riscaldato e iniettato all’interno delle cavità di stampaggio attraverso un sistema a vite infinita o a pistone, e che permette di ottenere quella che viene definita green part. Successivamente, a differenza dell’injection molding di materiale polimerico, le parti vengono sottoposte a un trattamento di debinding per eliminare la componente polimerica contenuta nei feedstock.

Il debinding viene condotto tramite trattamenti termici o sfruttando un solvente, permettendo di ottenere quella che viene chiamata brown part. L’ultima fase del processo è rappresentata dal sintering, un processo termico che permette ai grani del materiale di legarsi costituendo una struttura omogenea e caratterizzata da un livello di porosità inferiore così che risulti molto simile a quella del materiale ceramico/metallico classico.

Durante le diverse fasi del processo, le parti realizzate sono interessate da un ritiro volumetrico pari a circa il 15-20% delle dimensioni iniziali, ovvero quelle ottenute attraverso la fase di injection e conferite tramite il dimensionamento della cavità di stampaggio. Per questo motivo è importante valutare attentamente le dimensioni e le tolleranze delle cavità realizzate sugli stampi e, a seguito di tutti i trattamenti, della densità, dell’uniformità della struttura e delle proprietà meccaniche assunte dal pezzo.

Tra le due tecniche di PIM, quella che, per ora, ha avuto un maggiore sviluppo è sicuramente quella che impiega feedstock a base metallica; infatti, si possono trovare componenti realizzate con questo processo nei più svariati campi partendo dai più “sofisticati” come l’automotive, il medicale e l’aerospaziale fino ad arrivare a beni di utilizzo comune come i connettori di ricarica di alcuni smartphone. Il grande successo di questo processo è visibile anche grazie ai nomi delle aziende che lo applicano, infatti, si trovano nomi importanti, come Motorola, Apple, Canon, IBM e Honda, solo per citarne alcune.

La tecnologia MIM trova ampia possibilità di applicazione, non solo perché di semplice realizzazione, ma in particolare perché rappresenta il giusto compromesso tra costi di produzione e forze che le componenti possono sopportare durante la messa in opera. Per queste ragione, le parti ottenuti attraverso il processo di metal injection molding si posizionano, considerando questi due criteri, a metà tra le parti ottenute tramite processo di fusione e quelle prodotte con lavorazioni di asportazione. Oltre a questo, è possibile produrre prodotti con svariati materiali, partendo dagli acciai più comuni (AISI 316L e 304L), acciai al carbonio e al nichel, fino ad arrivare all’alluminio, al titanio, al rame e alle leghe pesanti.

A differenza della tecnologia MIM, l’impiego di polveri ceramiche permette di ottenere parti più fini e con superfici più levigate; inoltre, molti materiali ceramici sono caratterizzati da prestazioni superiori rispetto ai materiali metallici presentando elevata durezza e resistenza meccanica, all’usura, alla corrosione e resistenza agli agenti atmosferici. Oltre queste fondamentali caratteristiche, che sono fortemente condizionate dall’ambito di applicazione della parte finita, le parti prodotte attraverso tecnologia CIM sono adatte ad ambienti caratterizzati da alte temperature di esercizio, garantendo un buon isolamento elettrico e termico e una maggiore durata della componente. Anche questa variante presenta numerosi campi di applicazione, tra cui spiccano le componenti medicali oppure applicazioni in ambito micro come biosensori, componenti per microfluidica e micromeccanica. In questo caso tra i materiali maggiormente impiegati si trovano l’ossido di alluminio (Al2O3) e di zirconio (ZrO2), materiali caratterizzati da elevate durezze come allumina temprata allo zirconio (ZTA), nitruro di silicio, carburo di silicio (SiC), carburo di tungsteno (WC) e altri tipi di materiali personalizzati secondo le esigenze di produzione.

Fig. 2: Cambiamento della struttura tra i grani a seguito del trattamento di sintering.

All’interno del processo di PIM, la fase di sintering risulta la parte fondamentale per l’ottenimento di una struttura resistente del materiale. Infatti, prima del processo di sintering i grani del materiale risultano separati e non ben legati tra loro in quanto è stata eliminata la componente polimerica che funge da legante, ma, al termine del processo termico, la struttura risulta più omogenea e il materiale tende a riempire le porosità lasciate dal processo di debinding (Fig. 2). Attraverso questa fase è possibile raggiungere una densità del materiale pari al 97% tenendo comunque conto del ritiro di materiale non uniforme. In particolare, il ritiro medio si attesta attorno al 16%, ma lungo le diverse dimensioni varia e risulta essere legato alle temperature e alla pressione di iniezione: alte temperature di iniezione generano ritiri maggiori, mentre alte pressioni generano un ritiro inferiore. Considerando i due processi di iniezione di polveri è stato osservato che le parti ottenute attraverso le polveri metalliche, generalmente, presentano un livello di porosità maggiore (attorno al 5%) rispetto alle parti ottenute attraverso l’iniezione di polveri ceramiche. Inoltre, la natura del feedstock influenza la dimensione delle particelle: si passa da particelle dell’ordine di 0.5-15 um per la tecnologia MIM a dimensioni pari a 0.2-0.5 um per la CIM.

 

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