Sinergie e competenze per ripartire

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Né gli studi né il sentiment degli imprenditori lasciano troppo spazio alle illusioni. La diffusione del coronavirus e le misure di contenimento che ne sono seguite proiettano l’industria in un territorio ignoto: se è utopistico pensare di uscirne indenni, limitare i danni è, al contrario, possibile.

Interpellato da Stampi alla metà di aprile, l’economista del Centro studi di Confindustria Tullio Buccellato aveva di fronte i dati tutt’altro che incoraggianti dell’ultima indagine effettuata dalla confederazione su un campione di 4.420 imprese sugli effetti negativi del Covid-19 sul loro business. Ne emergeva infatti, a paragone con quanto verificato soltanto alla fine di marzo, il netto incremento delle aziende vittima dell’impatto nefasto del coronavirus (97,2% contro il precedente 67,2%). Il 43,7% (prima: il 14,4%) riferiva di «problemi molto gravi» e il 36,5% di una chiusura totale delle attività, a fronte del 33,8% di chi l’aveva interrotta solo parzialmente. Per il 53,1% degli addetti il ricorso agli ammortizzatori sociali rappresentava una prospettiva quanto mai concreta mentre «rispetto alla normalità del marzo 2019» fatturati e ore lavorate erano scesi rispettivamente del 32,6 e del 32,5%. Per le realtà con meno di dieci dipendenti la flessione si presentava ancor più marcata, con picchi negativi vicini al 40% del volume d’affari e del 37,3% delle ore di lavoro. «L’84,5% del totale – ha osservato Buccellatoriscontra problemi relativi al rallentamento della domanda su scala domestica e internazionale, soprattutto per via della minore richiesta di beni o servizi di consumo in Italia». Altrettanto importanti le problematiche di ordine gestionale: il 19,6% degli imprenditori segnalava forti disagi legati alla mancanza di materiale sanitario essenziale per garantire la sicurezza del personale. Quel che forse è peggio è che il 78,2% dei rispondenti affermasse di sentirsi «disarmato» dinanzi a una crisi dalle caratteristiche e dimensioni inedite; e fermo in attesa del «ritorno alla normalità».

Qualche punto fermo dal quale ripartire, tuttavia, esiste. Se è vero che un tradizionale sbocco dell’export tricolore come il Nord America era, dopo Pasqua, bloccato a sua volta, è pur vero che poco dopo i confini qualcuno pianificava una ripartenza. «La Germania si è mostrata più preparata all’emergenza e ha attuato un lockdown più mirato – ha continuato Buccellato, dimostrando che gli investimenti in sanità e tecnologie per la salute sono vincenti. Per questo va ritenuta un modello e, al di là delle polemiche sul meccanismo salva-stati o gli eurobond resta un partner fondamentale. L’asse con Berlino va consolidato e rafforzato, in vista della ripresa, deve essere tessuto con cura anche per evitare che i produttori tedeschi siano spinti ad aprirsi dei canali di fornitura differenti». Ancora, per quanto patiscano enormemente la diminuzione della liquidità, e non solo, le piccole e medie società di casa nostra «possono comunque far tesoro della loro agilità e godono di margini di manovra ampi». Quelle dell’indotto dell’alimentare e del medicale «stanno cogliendo le opportunità che giocoforza questa situazione offre loro»; altre si sono ingegnate per dare vita a esperimenti di parziale riconversione. E ancora, come si avrà modo di leggere in seguito, le catastrofi della pandemia potrebbero finalmente convincerci che non sempre «piccolo è bello» e che soprattutto non è piacevole quando, nel mezzo della bufera, oltre che minuscoli si è anche soli. Strategie di aggregazione e reti potrebbero tornare in voga, posto che «le istituzioni facciano il loro e forniscano alla manifattura gli strumenti per orientarsi alla luce di una visione comune», oltre ad assicurare supporto economico.

Il virus aguzza l’ingegno. E il fare sistema

Dall’emergenza sanitaria e socioeconomica scatenata dal diffondersi del coronavirus si possono trarre due insegnamenti preziosi. Il primo è che nessuno si salva da solo e che le sinergie saranno un elemento chiave per la ripartenza delle attività imprenditoriali. La seconda è che per quanto l’automazione sia una risorsa preziosa e necessaria per l’industria, essa non possa prescindere dalla competenza e dalla crescita professionale continua dell’uomo. Tale è l’opinione espressa a Stampi da Renato Mutti e Marco Albertini, rispettivamente chief business development officer di Oldrati e tooling manager di Linea Stampi, società specializzata in stampi per articoli in plastica e LSR che fa parte della bergamasca Oldrati Group. Quest’ultima è una realtà di caratura mondiale nella produzione di manufatti in plastica, gomma e silicone e grazie ai suoi circa 1.600 dipendenti distribuiti in 11 siti produttivi calcola un fatturato pari a 155 milioni di euro. È stata fondata 56 anni fa a Villongo presso Bergamo ma gestisce impianti produttivi anche nella confinante provincia di Brescia. È chiaro perciò che dalle drammatiche conseguenze della pandemia essa è stata toccata direttamente e gravemente. La sua reazione si è concretizzata nell’immediata risposta al richiamo lanciato dalla bresciana Isinnova con il progetto aperto e condiviso per la produzione delle maschere per respiratori ospedalieri Easy Covid-19, nate dal riadattamento di una serie di articoli da snorkeling. In virtù della sua esperienza nella costruzione di stampi per iniezione e nello stampaggio, la società ha potuto innescare un processo produttivo diverso da quello che ha caratterizzato la maggior parte delle iniziative cui la stampa ha dato visibilità, comprensibilmente e giustamente, in queste settimane. La valvola di raccordo ai respiratori che Isinnova ha ribattezzato col nome di Charlotte è stata oggetto perciò di autentica industrializzazione e lavorata con procedimenti che alla manifattura additiva sostituiscono le tecnologie tradizionali, con tutti i vantaggi del caso. «Conoscevamo già per altre vie il ceo e fondatore di Isinnova ingegner Cristian Fracassi – hanno raccontato Mutti e Albertinie così l’articolo sviluppato a partire dall’idea dell’ex-primario dottor Renato Favero. E dal momento in cui ci siamo resi conto del valore dell’invenzione, alla decisione di collaborare, sono passate poche ore». Non c’è, da parte di Oldrati Group, alcuna intenzione di sminuire la portata rilevante della stampa a tre dimensioni, ma a favore dei procedimenti tradizionali parlano i fatti. «Per soddisfare le esigenze contingenti – hanno spiegato gli intervistati –, l’additive manufacturing è una risorsa molto preziosa».

Potenza della tradizione

Tuttavia i maker utilizzano materiali diversi e questo fa sì che i componenti realizzati abbiano talora forme e consistenza diseguali, con il rischio che le forniture alla sanità risultino sotto certi aspetti inadeguate. Tutto questo senza dimenticare che il 3D printing assicura volumi e ripetibilità minori. Il gruppo ha perciò stabilito di farsi carico per intero del design dello stampo per produrre i particolari a iniezione per la famiglia delle valvole Charlotte, dopo aver preso visione dei filmati a essa relativi. «Disponevamo delle matematiche pensate per le stampanti tridimensionali – hanno proseguito Mutti e Albertini, che sono chiaramente molto diverse da quelle per l’iniezione. Si è reso pertanto necessario uno studio di reingegnerizzazione. Di concerto coi suoi ideatori il pezzo è stato modificato in vari punti e ricreato con la massima attenzione da componenti già disponibili». Questo significa che alcune parti «sono state prese a prestito», nell’espressione dei due manager, dagli stampi comunemente indirizzati ai comparti del bianco e dell’automobile con i quali Oldrati si interfaccia più spesso. Questo non ha però inciso sulle tempistiche e i primi modelli sono usciti dalle attrezzerie nel volgere di quattro-cinque giorni soltanto, «con enorme soddisfazione e grazie agli sforzi di tutti i colleghi che non hanno badato a orari e pause lavorando a ritmi da primato».

I primi pezzi consegnati all’ospedale di Chiari hanno visto la luce in meno di 24 ore e in dieci giorni sono state stampate e donate circa 3.500 valvole, indirizzate via via a strutture di tutte le regioni del paese. Europa Occidentale, Maghreb, Tailandia e Irlanda sono solo alcune delle destinazioni dei prossimi lotti, in cambio dei quali il costruttore non intende lucrare ma eventualmente potrà valutare se coprire i costi di produzione, perché a oggi «uno sviluppo di tipo commerciale non è stato nemmeno ipotizzato».

Nel medicale il gruppo è però già presente e da questa esperienza sta traendo conoscenze e competenze importanti sui percorsi di omologazione e di certificazione dei dispositivi. «Le valvole Charlotte sono un frutto di quelle azioni sinergiche – hanno argomentato Albertini e Muttinelle quali crediamo e alle quali devono sempre più puntare le tante eccellenze del territorio, in prospettiva futura. Fare rete è e sarà essenziale se si vogliono cogliere i traguardi dell’efficienza e del contenimento dei costi. Quest’esperienza ci ha inoltre dimostrato una volta di più che l’automazione sulla quale abbiamo molto investito prima ancora del varo degli incentivi 4.0 è uno strumento fondamentale, ma che senza un personale competente e motivato non si possa andare lontano. È decisiva l’interazione fra la macchina e addetti non solo esperti ma motivati e stimolati, che lavorino intensamente e col sorriso».

di Roberto Carminati

www.semprepresenti.it

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