La meritocrazia, questa sconosciuta. O forse no?

TOMMASI

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Quattro chiacchiere con Chiara Martinelli, associate partner di Acquaforte Srl, su competenza e merito.

Era la fine degli anni ’50 quando il sociologo inglese Michael Young coniò un nuovo termine: meritocrazia. E apparve nel saggio “The Rise of Meritocracy“, originariamente con una connotazione negativa che però, nel tempo, è andata via via modificandosi, tanto che oggi perlopiù delinea un buon sistema sociale: un sistema meritocratico dovrebbe essere più giusto e più produttivo di altri, perché basato su dati oggettivi, ponendo fine a discriminazioni fondate su criteri soggettivi, e quindi arbitrari, come per esempio il sesso e la razza. La teoria vorrebbe quindi che le “persone giuste”, cioè più competenti, fossero al posto giusto e questo si è dimostrato tanto più importante e necessario nella recente storia dell’umanità, sconvolta a tutti i livelli, dal sociale all’economico, dagli effetti della pandemia.

A livello mondiale, anche se con connotazioni diverse da nazione a nazione, la pandemia ha messo in evidenza più che mai la necessità di avere ruoli rivestiti dalle “persone giuste” e di poterne valutare i risultati: significa dare alla meritocrazia il ruolo che giustamente le spetta. E questo ruolo non dovrà essere circoscritto al momento attuale perché il mondo sta cambiando, un po’ per effetto di una evoluzione endemica, un po’ sulla spinta dei recenti sconvolgimenti: cambierà il modo di vivere, cambierà il mondo manifatturiero e cambieranno i servizi. Le nuove esigenze richiederanno l’introduzione di innovazioni, innovazioni che non si creano da sole, ma richiedono persone in grado di generarle e farle crescere, con tenacia e con passione.

Meritocrazia e impresa

Nel mondo dell’impresa meritocrazia significa misurare e riconoscere i risultati ottenuti. E per farlo, sembra ovvio, ma non sempre è così, è necessario anzitutto assegnare a tutti obiettivi in linea con la strategia aziendale, che siano chiari, realistici e misurabili. “E’ necessaria una riflessione non banale sugli obiettivi quantitativi – spiega Chiara Martinelli, associate partner di Acquaforte Srl -. Un esempio che chiarisce molto bene il concetto, riguarda la vendita: se assegno obiettivi individuali troppo ambiziosi, il rischio è che i commerciali ‘cannibalizzino’ i clienti dei colleghi, oppure che ‘vendano a qualunque costo’, bruciando i margini o compromettendo la relazione col cliente. Questo significa che il target individuale deve essere armonizzato con quello di team e collegato anche ad obiettivi di tipo non immediatamente monetari, come la soddisfazione del cliente”.

Parlare di meritocrazia non significa parlare solo di risultati quantificabili economicamente, oppure di indicatori di performance, come per esempio la produttività, anche se la prestazione è figlia di cosa una persona sa e sa fare, oltre che, ovviamente di come lo fa, vale a dire le competenze tecniche possedute e i comportamenti. Infatti, come sottolinea Martinelli, “la valutazione di una prestazione a tutto tondo comprende anche la valutazione delle competenze necessarie a ricoprire con successo un determinato ruolo. Anche i target di competenza, come gli obiettivi quantitativi, vanno messi in chiaro e valutati periodicamente. Quello che in gergo viene chiamato ‘colloquio di valutazione’ dovrebbe essere un momento importantissimo per la crescita perché permette di dare un feedback non soggettivo, concordando eventuali azioni di supporto, arrivando a fondare in modo oggettivo lo sviluppo professionale e di carriera. Comunque il condizionale è d’obbligo: un colloquio mal condotto, mal preparato, anziché un momento di crescita aziendale, oltre che personale, può ridursi a una sterile sottolineatura di ciò che poteva essere fatto meglio”.

La valutazione del merito

E’ difficile che ci sia crescita se non c’è una valutazione del merito. Se crescita c’è, allora è facilmente frutto della buona volontà, dell’intraprendenza del singolo, ma non è certamente una crescita strutturata, ed è destinata a morire quando la buona volontà viene meno.

Nelle grandi realtà la responsabilità della valutazione del merito spetta all’alta direzione, tipicamente supportata dalla direzione del personale. Ma il tessuto produttivo italiano è composto da una miriade di imprese piccole, medie, ma anche piccolissime, le cosiddette micro imprese, dove non è detto che la funzione HR esista. Proprio la dimensione dell’azienda fa sì che la valutazione sistematica di prestazioni e competenze rappresenti un carico di lavoro che sembra incompatibile con i ritmi frenetici a cui lavorano le Pmi.

In una realtà da media a piccolissima, dove l’imprenditore conosce personalmente tutti, il concetto di meritocrazia basato su un sistema di gestione delle prestazioni, sembra inutile, oltre che oneroso. Così non si valuta (ma attenzione: implicitamente, tutti valutiamo, sempre!, ndr) oppure ci si basa su elementi fortemente soggettivi o parziali, o ancora non si danno indicazioni su cosa è stato fatto bene / male, perché, o su come si potrebbe fare meglio. Le persone non crescono, e l’azienda neppure… e sappiamo bene cosa vuol dire restare al palo in un mercato che evolve alla velocità della luce. Professionalmente mi occupo di consulenza e formazione attiva nelle trasformazioni lean 4.0, nello sviluppo di organizzazioni e persone, nella realizzazione di sistemi di gestione e miglioramento qualità, salute, sicurezza e ambiente, e, alla luce di tanti anni di esperienza, posso affermare, anche a rischio di sembrare polemica, che una valutazione opaca e implicita è il contrario della meritocrazia”.

Se manca la valutazione

Come faccio a riconoscere giustamente, uso la parola ‘giusto’ di proposito, il merito e il demerito se non so bene in che cosa consistano, perché non sono stati fissati dei parametri oggettivi? E come posso pretendere che i miei collaboratori si assumano la responsabilità delle proprie azioni, in positivo e in negativo, senza questa bussola? E non va dimenticato come la mancanza di valutazioni rigorose sia particolarmente rischiosa quando l’azienda cresce o quando ci si trova davanti ad un cambio generazionale”, prosegue Martinelli.

Fortunatamente oggi molte attività, anche di piccole dimensioni, hanno recepito il messaggio e cominciano a costruire sistemi di gestione delle prestazioni: pochi indicatori chiave, con obiettivi precisi e coerenti, un numero (anche limitato) di competenze chiave ben definito, sistemi di misura trasparenti e valutazioni periodiche che sostengono il dialogo fra i ruoli, sono sempre più diffusi e il termine “meritocrazia” è accolto con favore a più livelli.

Meritocrazia e Pmi

Dunque la meritocrazia, nel senso più rigoroso del termine non è più ignorata dalle Pmi, che, al contrario, stanno guardandone con favore un inserimento strutturato. Raccogliendo le osservazioni della Dott.ssa Martinelli, basate su una pluriennale esperienza consulenziale in aziende sia manifatturiere che di servizi da grandi a micro, sembra ormai chiara l’importanza di diffondere la cultura della trasparenza e della valutazione, e questa è la parte più difficile, ma fondamentale. La valutazione deve essere proposta e recepita come uno strumento gestionale, un’occasione di apprendimento, e non come una punizione dell’errore. “Mi sento di essere fiduciosa: gli imprenditori, i manager con cui siamo quotidianamente in contatto, sembrano sempre più orientati ad una meritocrazia realmente basata su valutazioni oggettive. Certo non si tratta mai di passi semplici ma credo che sia il primo passo quello più complicato, un passo che, sotto certi aspetti, è rivoluzionario perché porta ad un cambiamento culturale”.

di Daniela Tommasi

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