Ghise ADI: relazione tra microstruttura e resistenza a fatica

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In questo articolo si esaminano i cinque parametri che influenzano la resistenza a fatica delle ghise ADI.

In un articolo apparso nel numero di marzo 2021 della rivista Fonderia sono state trattate
le ghise ADI, descrivendo quali siano le principali proprietà di resistenza e da cosa esse derivino, ed effettuando anche un confronto con alcuni acciai da bonifica. Sulla base delle caratteristiche tecnologiche del materiale è stato possibile evidenziare come questa tipologia di ghisa si riveli determinante e strategica in molte applicazioni.

In questo approfondimento si proseguirà la trattazione concentrandola sul comportamento che tali materiali manifestano in presenza di un importante fenomeno, ovvero quello della fatica. Nello specifico, vedremo come per le ghise ADI la resistenza a fatica a flessione rotante, con rapporto di sollecitazione R= -1, sia influenzata in maniera significativa da cinque parametri: temperatura di austempering, microstruttura della matrice, trattamento di pallinatura, nodularità della grafite e numero di sferoidi.

Applicare un rapporto di sollecitazione R = σmin/σmax = -1 significa considerare una sollecitazione ripetuta di tipo alternato simmetrico (Figura 1), in cui si ha σmin =-σmax.

Il fenomeno della fatica

La fatica è un fenomeno meccanico a causa del quale un materiale, soggetto a sollecitazioni cicliche (alternate, pulsanti o più in genere variabili in maniera random) e con valori inferiori alla tensione di snervamento, si danneggia fino alla rottura. Tale fenomeno è la causa più comune di cedimento in organi meccanici, infatti per tre casi su quattro le rotture in esercizio di componenti sottoposti a carichi variabili nel tempo è riconducibile proprio alla fatica. Le rotture per fatica avvengono sotto l’azione dei normali carichi d’esercizio: tali carichi sono normalmente inferiori a quelli necessari ad innescare una deformazione plastica evidente, macroscopica, del componente. Tuttavia, a causa ad esempio di una non corretta progettazione, della presenza di discontinuità microstrutturali o di una non adeguata finitura superficiale, gli sforzi locali possono eccedere il limite di snervamento locale del materiale. Pertanto, l’applicazione di un carico ciclico sviluppa una deformazione plastica localizzata e con il tempo la generazione e la propagazione di cricche. Tutto ciò che ostacola l’innesco e la crescita delle cricche migliora la resistenza a fatica del materiale.

I fenomeni di danneggiamento e degrado dei materiali metallici sono molteplici e spesso interdipendenti. Ad esempio, si può pensare ai cedimenti per fatica coadiuvati da degrado per corrosione (Corrosion Fatigue) o rotture per fatica con innesco di cricche a partire da danneggiamenti per usura (Fretting Fatigue), o fenomeni di corrosione sotto tensione indotti dalle sollecitazioni meccaniche applicate al componente (Stress Corrosion Cracking).

Concentrandoci sul solo comportamento a fatica, la progettazione di componenti meccanici in presenza di sollecitazioni affaticanti viene eseguita utilizzando la curva di Wöhler (detta anche curva S-N, Figura 2), che lega l’ampiezza di sollecitazione (σa) al numero di cicli (N) a cui il materiale arriva a rottura. La regione al di sotto della curva rappresenta, con un certo grado di probabilità, la zona di sicurezza per il componente.

Per la definizione della curva relativa ad un dato materiale vengono condotte delle prove sperimentali in cui si imposta una certa ampiezza di sollecitazione e si determina il numero di cicli in corrispondenza del quale si verifica il cedimento; a ciascuna prova corrisponde un punto nel piano σa-N, ottenendo quindi complessivamente un insieme di punti che possono apparire più o meno dispersi (Figura 2a). Tale dispersione è generata dal fatto che c’è una intrinseca variabilità legata ai fattori che influenzano la resistenza a fatica; infatti, due provini dello stesso materiale non avranno composizione e struttura perfettamente analoga e nemmeno la stessa finitura superficiale, pertanto sollecitati allo stesso modo non resisteranno esattamente lo stesso numero di cicli. Ciò costringe a considerare, ad esempio, il comportamento medio, ottenendo così una curva che rappresenta una probabilità di rottura del 50%. Tale risultato deriva direttamente dalla distribuzione statistica assunta da tutti i numeri di cicli ai quali si verifica la rottura, valutati a sollecitazione costante. Questa distribuzione risulta di tipo gaussiano e se come valore di N si considera il valore medio della distribuzione, la probabilità di rottura individuata dalla curva sarà esattamente quella citata in precedenza.

Infine, considerando il grafico semilogaritmico, è possibile individuare 3 zone (Figura 2b):
• zona di fatica oligociclica: dato il basso numero di cicli, in tale zona non si progetta a fatica;
• zona di vita a termine (fatica ad alto numero di cicli);
• zona di vita infinita: al di sotto di un certo valore dell’ampiezza di sollecitazione, chiamato limite di fatica ed indicato in figura con σLF, si può ritenere che il materiale non ceda per fatica.

La curva di Wöhler è diversa per ogni materiale e non tutti i materiali presentano il limite di fatica, come ad esempio accade per le leghe di alluminio.

Il cedimento per fatica segue sempre tre fasi: (i) nucleazione della micro-cricca, in corrispondenza di zone superficiali o sub-superficiali, sotto l’azione dello sforzo ciclico, (ii) propagazione della macro-cricca sotto l’azione della componente di trazione dello sforzo applicato e (iii) frattura di schianto per sovraccarico.

Di conseguenza, le superfici di frattura presentano normalmente:
• una o più zone di nucleazione della micro-cricca o delle micro-cricche, generalmente in corrispondenza di difetti o discontinuità geometriche in grado di provocare concentrazione di tensioni;
• una zona di propagazione della macro-cricca, che appare generalmente liscia e “vellutata”. Inoltre, possono essere presenti anche le cosiddette “linee di spiaggia”, ossia linee concentriche rispetto alla zona di innesco;
• una zona di rottura per sovraccarico, che appare tendenzialmente cristallina e irregolare.

In Figura 3 sono riportate, a titolo di esempio, le superfici di frattura a basso ingrandimento di due campioni in ghisa ADI austemperata a 320 °C per 105 min a valle di prove di fatica [1]. Ciascuno dei due campioni è stato sottoposto a una storia di carico differente, rispettivamente ad un carico alternato simmetrico con ampiezza di sollecitazione pari a 300 MPa e 375 MPa. Tali immagini permettono di osservare la zona di crescita della cricca (G), la zona che si è fratturata per schianto (F) e il punto di innesco della cricca (N). Inoltre, si nota che a fronte dell’incremento della sollecitazione nominale si riduce la zona di crescita della cricca, mentre aumenta l’estensione della zona fratturata per schianto.

 

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