Piegatura di qualità: le procedure, le abitudini e le scuse

Emiliano Corrieri

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Quando certe inflessioni e attitudini si insinuano nelle aziende, specie se gli esempi apicali sono sbagliati, è davvero difficile uscirne. Ecco perché è fondamentale che i flussi di lavoro nascano già con il piede giusto applicando le procedure corrette, anche in piegatura.

L’azienda “Ferruccio Tagliaferri” Srl è una realtà molto conosciuta nel proprio territorio e che opera nel mercato da oltre cinquant’anni. Al suo interno lavorano una trentina di dipendenti e le lavorazioni conto terzi sono soprattutto svolte con l’impiego di materiali quali Aisi 304, S235, S355 e spessori che vanno dal 10/10 all’80/10.

Come avviene spesso, anche la “Ferruccio Tagliaferri” è nata dalla brillante intuizione del fondatore che, stanco di lavorare nei campi e profondo appassionato di meccanica, ha iniziato a proporre soluzioni per coloro che i campi non li avrebbero abbandonati. Pezzi di ricambio per le macchine agricole, modifiche migliorative, strutture o, addirittura, sistemi completi.

La Ferruccio Tagliaferri è la storia di una parabola dei tempi d’oro che narra di una marginalità in carpenteria molto più simile al farmaceutico e dove, tutto sommato, bastava darsi davvero da fare, avere costanza e la giusta intelligenza mista a “pelo sullo stomaco” per ottenere risultati lusinghieri.

La mentalità “bucolica”

I decenni sono passati inesorabili e il mercato, fuori dal capannone, è cambiato in maniera radicale anche se molti al suo interno non se ne sono pienamente resi conto.

Adesso, grazie alla grande quantità di “fieno in cascina” stipato negli anni buoni, ci sono macchine moderne, operatori capaci e non c’è da dire che non ci si stia bene.

Pure le pause caffè sono libere. Eppure qualcosa è rimasto della vecchia provenienza agricola e che mal si sposa con la filosofia tecnologica e industriale moderna. È il “mood”, il modo di fare e di pensare di una buona parte dei presenti. A onor del vero, la mentalità “bucolica” endemica non è assolutamente una cosa negativa in senso assoluto: è solo fuori posto.

Il contadino per tradizione deve maggiormente subire l’effetto degli eventi. Se piove si sta a casa, se c’è bello ci si dà dentro finché si può e “speriam che la vaga ben”. E se è andata bene può non avere grande senso immaginare un’altra via. Non c’è nemmeno il tempo per pensarla: il sole è alto nel cielo e c’è da tornar nei campi. Quando le inflessioni e le abitudini si insinuano nelle aziende, specie se gli esempi apicali sono sbagliati, è davvero difficile uscirne.

 

di Emiliano Corrieri

 

 

 

 

 

 

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