Basandosi sui dati di Istat, ministero per il Lavoro e le politiche sociali, Inail, Inps e Anpal, Confartigianato ha fatto di recente il punto sulle dinamiche del mercato del lavoro presso le piccole e micro imprese italiane. Il campione è significativo poiché secondo gli enti citati proprio questa classe di aziende è stata protagonista della creazione di nuovi impieghi nel periodo della ripresa post-pandemica.
Quelle con un massimo di nove dipendenti totali esprimevano al terzo trimestre dello scorso anno un saldo positivo fra assunzioni e cessazioni pari a 192 mila unità. Estendendo lo sguardo alle attività sino a 50 addetti la cifra cresceva a 896 mila posizioni lavorative complessive.
Record negativo per i macchinari
Nonostante le molteplici e ben note criticità del presente una parte importante dell’economia nazionale ha dunque dimostrato di avere la capacità e le forze necessarie a rilanciarsi e competere. Un ulteriore ostacolo le si para però davanti ed esso è rappresentato dal complicato reclutamento di figure professionali attualmente delle più preziose. Ripresi da Confartigianato stessa, i numeri del sistema Excelsior di Unioncamere e Anpal (l’Agenzia nazionale delle politiche attive per il lavoro) certificavano a febbraio che nel 2021 il 32,2% delle entrate previste era «di difficile reperimento».
Il dato 2020 era pari al 29,7% ed era del 26,4% nel 2019. Le imprese artigiane soffrono più di altre (41,4%, +3,2% in più sull’anno precedente) ma in generale, come registrato da Istat, il 75% delle realtà produttive intenzionate ad assumere, o che hanno assunto, versano in una situazione simile. Nel solo comparto manifatturiero è del 6,1% lo share di società il cui business è più o meno gravemente ostacolato dalla mancanza di manodopera. Di per sé, il dato rappresenta il primato negativo degli ultimi vent’anni e sale sino al 12,1% nell’ambito dei macchinari e beni strumentali.
Mercato del lavoro: manutentori cercansi (e non solo)
Sempre al di sopra della media si sono posizionati mobili e arredo (11%); i prodotti in metallo con il 9,3%; i segmenti della gomma e materie plastiche e della riparazione di macchine appaiati all’8%. Meglio è andata ad altre aree strategiche come quella dell’auto, dove lo skill shortage interessa solo il 2,2% dei player. Sul gap fra domanda e offerta di occupazione si è soffermata anche la Commissione europea con lo European Economic Forecast – Winter 2022 pubblicato a febbraio.
Dal documento è emerso che il 31,4% dei manager del settore dell’edilizia considera la scarsa disponibilità di manodopera il suo problema più pressante; seguito dal 26,3% di quelli dei servizi e dal 25,9% della manifattura in genere. Le competenze latitano ovunque, basti pensare alla crescita di sette punti fra l’ottobre del 2021 al gennaio del 2022 della richiesta di esperti di programmazione; e agli allarmi in arrivo dai settori dell’ingegneria delle costruzioni e da quello dei servizi ambientali.
L’università del machinery
Restando nel campo delle tecnologie di produzione, del tema della rarefazione delle risorse umane specializzate ha argomentato recentemente il general manager di UCIMU-SISTEMI PER PRODURRE Alfredo Mariotti. Nel corso dell’evento siderweb PNRR: l’acciaio alla prova della crescita Mariotti ha sottolineato il permanere di «uno squilibrio tra domanda e offerta nel mercato del lavoro che non permette ancora di coprire tutti i posti disponibili con personale qualificato». Ma ha altresì avvertito che «il mondo dell’impresa non può fare tutto da solo».
Per rispondere al problema «ci vorranno tempo e una nuova organizzazione della scuola, che dovrà attrezzarsi in maniera completa, dotandosi di formatori che, a loro volta, dovranno essere anche adeguatamente formati». Mariotti, che nell’occasione ha ricordato valore e scopi della UCIMU Academy, nata per rendere il personale «pronto a operare sulle macchine di ultima generazione e in continua evoluzione», si è allineato alla presidente Barbara Colombo, che in materia aveva espresso posizioni molto chiare.
Il ruolo dell’impresa, il compito delle scuole
«Chiediamo sia allungata e semplificata», aveva detto la scorsa estate, «l’operatività della misura del credito di imposta per la formazione che oggi, nel calcolo, contempla anche il costo del formatore, per assicurare alle imprese di ogni dimensione un corretto supporto all’aggiornamento del personale. Solo così gli investimenti in nuove tecnologie potranno assicurare all’impresa un miglioramento della produttività e l’efficienza necessaria per vincere la sfida internazionale».
Importante è sotto questo aspetto una ulteriore valorizzazione della rete degli ITS, che nel biennio 2020-2021 hanno totalizzato 18 mila iscritti contro gli 831 mila degli studenti degli istituti tecnici. «Troppo pochi», nella visione di Colombo, convinta che con l’adeguato sostegno del PNRR essi possano diventare «avamposti» del training di giovani risorse indispensabili per il futuro del Paese.