Un mondo di K in piegatura

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Facciamo chiarezza per districarci nella giungla terminologica che vede l'(ab)uso del termine “K” e del “fattore k” dominare in piegatura. Spesso per indicare cose totalmente differenti tra loro…

Da quando mi sono appassionato al mondo della piegatura dal punto di vista più teorico, dopo aver svolto direttamente la mansione del piegatore per quasi due decadi, ho scoperto che la letteratura tecnico-scientifica è tutto sommato scarsa.

Esistono manuali datati che considero vere e proprie perle, molto difficili da reperire e non sempre tradotti in italiano.

La sparuta collezione di documenti, tuttavia, risulta a volte contraddittoria per metodi, approcci e criteri e può risultare complesso districarsi nel dedalo di nozioni differenti per chi si avventura nel loro studio.

C’è l’autore che considera nelle formule descritte gli angoli interni di piega e l’autore che, dandolo per scontato, considera gli angoli supplementari creando nella mente del neofita non poca confusione.

Ma se c’è una cosa che personalmente mi ha sempre colpito è la diffusissima tendenza a chiamare concetti molto diversi tra loro nella stessa identica maniera.

Una di esse, ad esempio, è il valore di BA o “bend allowance” che nella maggior parte dei casi indica il valore della lunghezza del piano neutro da sommare ai lati dritti (legs) per effettuare il calcolo dello sviluppo.

Per alcuni la suddetta bend allowance è invece il valore da sottrarre dalla somma dei lati esterni.

A prescindere dal fatto che “allowance” in inglese si traduce con “indennità”, intesa in modo un po’ forzato per noi come “compenso aggiuntivo”, chi ha ragione?

Ma questo è niente: esiste una lettera che oserei scrivere “famigerata” che con la sua massiccia presenza nei più disparati argomenti che riguardano la piegatura è in grado di creare una confusione davvero esemplare tra gli addetti ai lavori.

Mi riferisco alla lettera K, maiuscola o minuscola che sia… sempre K!

Ogni tema ha il suo K

Per cercare di fare ordine nel ginepraio di lettere identiche che si riferiscono a cose totalmente differenti credo sia utile stilare un breve elenco aggiornato a ciò che ho riscontrato ad oggi, senza alcuna pretesa di completezza definitiva: sono certo che di K ne arriveranno altri man mano che proseguirò i miei personali studi…

Partendo dal più importante:

Il fattore K

Certamente il più noto, quello ricercato con metodi più o meno aleatori da molti uffici tecnici.

Corrisponde al rapporto tra la distanza tra il raggio interno e il piano neutro (t) e lo spessore (T). (figura 1)

fattore K
Figura 1 – Il “fattore K” più noto, quello ricercato con metodi più o meno aleatori da molti uffici tecnici. Corrisponde al rapporto tra la distanza tra il raggio interno e il piano neutro (t) e lo spessore (T)

Il fattore K (2)

È sempre riferito alla posizione del piano neutro ed è necessario per il calcolo dello sviluppo, ma è il risultato della formula logaritmica classica: K=Log(Ir/T)*0,5+0,65

Il valore di questo K risulta in realtà il doppio del K precedente e che serve ai CAD 3D.

Già adesso vien da chiedersi perché una grandezza doppia di un’altra si chiami allo stesso modo…

Il fattore K di ritorno elastico

Si riferisce a un valore che dipende dalla resistenza del materiale e dal raggio interno di piega e che permette di prevedere il valore in gradi del ritorno elastico.

Questo concetto proviene da uno dei manuali a mio avviso più specifici e interessanti: “Lavorazione della lamiera” di Gerhard Oehler edito ormai molti anni fa da Tecniche Nuove e pressoché introvabile.

Il tema descritto dall’autore aveva il compito di facilitare la progettazione di matrici e punzoni che permettessero un adeguato ritorno elastico per l’ottenimento della piega desiderata (overbending).

Probabilmente il fatto che le ricerche sperimentali riguardo i due argomenti precedenti (ritorno elastico e calcolo dello sviluppo) siano state fatte in contesti totalmente differenti in quanto a epoche e luoghi ha facilitato questa omonimia.

Trovo curioso, comunque, il fatto che il nome “fattore K” sia un’altra volta presente.

Il fattore K di stiramento

Questa volta cambiamo totalmente contesto e ci addentriamo nelle funzioni di alcuni tra i controlli numerici più utilizzati.

Come noto a qualsiasi operatore con un minimo di esperienza, in fase di programmazione i controlli numerici forniscono delle correzioni automatiche dell’asse X (i riscontri posteriori) nel caso in cui l’operatore scelga di descrivere il pezzo da realizzare mediante le quote esterne.

L’algoritmo del CN, sulla base di una stima del raggio interno che si genererà sulla lamiera dello spessore, del materiale e sulla matrice prescelti dall’utente, calcola la posizione di X che ritiene adeguata per ottenere la lunghezza di piega richiesta.

Ovviamente i fattori di variabilità della materia prima e ambientali possono rendere tali stime imperfette, ed è proprio qui che entra in gioco il quarto fattore K della carrellata.

Supponiamo, ad esempio, di effettuare una piega su un particolare e che, per qualsiasi motivo, non risulti della quota desiderata.

In quel caso siamo in grado di rilevare la reale correzione di X che avremmo dovuto applicare, la dividiamo per quella calcolata di default dal controllo ed ecco ottenuto il fattore K stiramento.

Tale valore andrà applicato come attributo di un nuovo materiale inserito manualmente dall’utente nell’apposita banca dati.

Il fattore K di correzione

Altro contesto ancora ma identica nomenclatura.

Alcuni costruttori di pannellatrici, da considerarsi in un certo modo le “cugine” delle presse piegatrici, pur avendo dinamiche di funzionamento molto più complesse, utilizzano di nuovo un fattore K per regolare alcuni parametri delle macchine per ottenere il risultato desiderato.

Confesso che ad oggi mi sfugge la motivazione reale di questa curiosa affezione alla lettera K specie se preceduta dalla parola “fattore” da parte di coloro che hanno il grandioso merito di essersi spesi per migliorare il processo di piegatura sotto aspetti differenti.

Va da sé che, ancora una volta, la formazione è assolutamente necessaria per capire di cosa si stia parlando e su quali valori apporre le modifiche per ottenere i risultati sperati.

Sono molti, ahimè, coloro che ritengono poco interessante comprendere a fondo gli argomenti alla base del proprio lavoro: tutto sommato in piegatura è possibile ottenere buoni risultati anche adottando un approccio estremamente empirico.

L’importante è che, come talvolta accade, un concetto di dominio non diventi una malcelata forma di “ostracismo” nei confronti di chi non ne è padrone: “parlare complicato” serve ad alcuni per non farsi capire fino in fondo e l’essere incomprensibili pone in un certo senso in un effimero piano di superiorità che sfocia in una personale convinzione di insostituibilità.

Emiliano Corrieri

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