Origine ed effetto delle tensioni residue

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Da diversi anni, sulle pagine di Trattamenti e Finiture, l’argomento delle tensioni residue è stato affrontato da diversi punti di vista: dall’origine metallurgica all’effetto sulla funzionalitĂ  dei componenti, dalle diverse tecniche di misurazione ai processi finalizzati alla loro formazione o rimozione. Riprendiamo in mano il tema cercando di darne una nuova presentazione o, per meglio dire, proponendo una diversa prospettiva.

Partiamo dalla pelle

Tentando di seguire un percorso naturale, il primo passo di questo viaggio non può che essere che “definire” cosa siano queste tensioni residue. Utilizzando una delle loro definizioni “canoniche”, si definiscono tensioni residue tutti quegli stati di sollecitazione presenti all’interno di un corpo quando questo è in condizioni di equilibrio con l’ambiente circostante. Le tensioni residue sono quindi dei fenomeni presenti all’interno di un corpo, ma senza la manifestazione di evidenze esterne: personalmente credo che l’immagine che meglio di ogni altra “trasmetta” quello che è il senso delle tensioni residue è la molla di un ammortizzatore: un ammortizzatore è un oggetto che di per se è in condizioni di assoluto equilibrio statico, ma un equilibrio che si basa sulla compensazione tra la spinta esercitata dalla molla e la reazione ad essa opposta dal corpo dell’ammortizzatore attraverso lo stelo. (Figura 1). Se poi pensiamo di sostituire come vincolo della molla allo stelo un contenitore esterno (Figura 2), avremo che l’effetto della risposta elastica della molla è uno stato di trazione sulla superficie esterna del contenitore: ecco riprodotto in un modello intuitivo il fenomeno delle tensioni residue.

Dovendo inquadrare le tensioni residue in un ambito specifico dell’ingegneria, punto di partenza non può che essere la loro principale peculiaritĂ  essere un fenomeno i cui effetti si manifestano essenzialmente sulla superficie e nelle zone subito sottostanti a essa.

Cominciando dal principio che per loro natura le tensioni interne devono essere auto equilibrate sia in termini di forza sia in termini di coppia (rispetto all’asse neutro del componente), si ha che la distribuzione tipica delle tensioni residue in un elemento è come da Figura 3 con elevati stati di sollecitazione concentrati in uno spessore corticale di pochi mm, equilibrati da uno stato di sollecitazione di segno opposto, ma esteso sul resto della sezione del componente. Prendendo spunto da questo assunto, ne deriva che sicuramente l’ambito in cui collocare le tensioni residue è quello dell’ingegneria delle superfici, ossia quella branca della scienza che prende in considerazione il comportamento prestazionale della superficie dei componenti, con il fine ultimo di incrementarne il livello prestazionale complessivo.

Del resto che sia la superficie a determinare la maggior parte delle prestazioni di un componente è un concetto ben noto e assodato: escludendo poche qualitĂ  “integrali”, come la resistenza a rottura, dipendente da tutta la superficie di una sezione del materiale, sono proprio le caratteristiche della superficie a determinare la resistenza di un componente alle diverse forme di sollecitazione o aggressione. E’ infatti la superficie a essere l’interfaccia del materiale con le sollecitazioni esterne (usura, aggressioni chimiche ed ambientali…), cosi come le stesse sollecitazioni meccaniche (escludendo il caso quasi ideale della trazione pura) finiscono sempre per avere una distribuzione concentrata sulla superficie (flessione, torsione): del resto, se si è sviluppata quella branca dell’ingegneria che è l’ingegneria delle superfici, un buon motivo deve pur esserci!

Tornando comunque al cuore nel nostro argomento, in considerazione dell’importanza che rivestono i pochi mm di spessore corticale di un componente, sono stati sviluppati tutta una serie di processi finalizzati a modificare lo stato di tale strato superficiale: trattamenti termici, termochimici, finiture superficiali, deposizioni e chi più ne ha più ne metta. Ebbene, quasi tutti questi processi superficiali hanno una cosa in comune: per quanto possano essere diversi sia come obbiettivo sia come modalità attuative, questi processi comportano la comparsa, sulla superficie del componente e negli strati di materiale immediatamente sottostante, di stati di sollecitazione meccanica definiti appunto tensioni interne o tensioni residue. Talvolta obbiettivo principale del trattamento effettuato, più spesso effetto collaterale dello stesso, in ogni caso questi stati tensionali sono un compagno inseparabile per ogni intervento finalizzato ad alterare lo stato superficiale di un materiale, e in questa serie di articoli andremo a illustrare quali siano i diversi meccanismi che, isolatamente o in combinazione, sono responsabili della comparsa di questi stati tensionali, in che modo questi stati tensionali possano essere misurati e infine quali sono i processi mediante i quali è possibile annullare tensioni residue eventualmente deleterie per la funzionalità del componente o, al contrario, indurle quando il loro effetto possa essere positivo.

 

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