Manifattura additiva allo stato solido: la sinterizzazione

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sinterizzazione

Lo sviluppo commerciale delle tecnologie di stampa additiva è iniziato sul finire degli anni Ottanta. Iniziavano, allora, ad affacciarsi sul mercato le prime macchine basate sulla fotopolimerizzazione di polimeri (stereolitografia) commercializzate da 3D Systems Corporation. Nello stesso periodo, veniva brevettata la tecnologia Selective Laser Sintering (SLS) che, tramite un raggio laser provoca la sinterizzazione particelle di polvere a base polimerica.

A breve, seguirono applicazioni dello stesso concetto (i.e. la produzione di un oggetto strato dopo strato) con l’utilizzo di materiali metallici. Sebbene, finora, l’utilizzo di tecnologie “a fascio”, laser o di elettroni, siano stato studiate e commercializzate per la maggiore, esse comportano una serie di difficoltà nella loro adozione, per esempio richiedono personale altamente qualificato per far funzionare la macchina, hanno una relativamente bassa produttività e l’approvvigionamento di polveri può rappresentare, a volte, un problema. Inoltre, spostando l’attenzione sul prodotto da realizzare, tali processi possono conferire all’oggetto tipici difetti dovuti ad un ciclo termico non trascurabile: tensioni residue, distorsioni termiche, cricche a caldo, porosità, etc.

Queste ed altre difficoltà (per esempio, la manifattura di leghe a scarsa saldabilità), hanno portato allo sviluppo di un’altra classe di tecnologie additive, non più basate su fasci di energia. In letteratura, ci si riferisce a queste tecnologie con l’appellativo di manifattura additiva allo stato solido. Il principio fisico che determina il legame (bonding) del materiale può essere la sinterizzazione oppure per deformazione meccanica.

Tecnologie basate sulla sinterizzazione

Il legame chimico per diffusione atomica tra le particelle di polvere metallica. Il processo avviene ad alta temperatura, senza però superare la temperatura assoluta di fusione del materiale ma attestandosi tipicamente a valori attorno al 70% della stessa. Queste tecniche hanno il vantaggio di far leva sull’ampia base di conoscenza di metallurgia delle polveri e tecnologie di sinterizzazione. Sulla base di questo principio, stanno nascendo diverse iniziative ma, allo stato attuale, le due tecnologie più diffuse che ricadono in questa categoria sono sicuramente il Binder Jetting e il Material Extrusion.

Il Binder Jetting

Il Binder Jetting è un processo di produzione additiva in cui una testina di stampa industriale deposita selettivamente un agente legante liquido su un sottile strato di particelle di polvere. Il processo viene quindi ripetuto strato per strato fino al completamento dell’oggetto, detto in questa fase green part.

Il processo si adatta a materiali metallici ma anche a ceramici, compositi e polimeri. In funzione del tipo di materiale è sempre necessaria una o più fasi di post-processing. Rimanendo nell’ambito dei materiali metallici, la prima delle due fasi successive alla rimozione del pezzo dalla macchina di stampa è detta debinding, con cui il legante viene rimosso con un processo di lavaggio chimico o termico. Successivamente si procede alla vera e propria sinterizzazione in un’apposita fornace.

A questo punto, il componente, detto brown part, subisce talvolta un processo di infiltrazione: un altro metallo, solitamente bronzo o ottone, viene fatto penetrare per capillarità nei pori lasciati dall’evaporazione del legante. La parte finale può arrivare ad avere porosità fino al 97%. La fase più delicata del processo è la fase di sinterizzazione durante la quale il pezzo si può rompere e dove è comunque molto complesso prevedere i ritiri del materiale per garantire le tolleranze sul componente. Si parla comunque di tolleranze tra 1 e 2,5% dopo due o tre cicli di stampa con la stessa configurazione e, molte software house stanno investendo nel rilascio di software di simulazione per l’ottimizzazione del processo, come riportato da TCT Europe ad inizio 2021.

Il Material Extrusion

Il Material Extrusion si basa, come suggerisce il nome, sull’estrusione di materiale metallico attraverso un ugello. Per certi versi, il principio di base è molto simile alla più diffusa tecnologia a filo (Fused Filament Fabrication) per polimeri, molto diffusa anche tra gli hobbisti. Nel caso della stampa a filamento metallico, il filamento polimerico è impregnato di piccole particelle metalliche e viene depositato strato per strato proprio come qualsiasi altro processo di estrusione del materiale.

L’acciaio inossidabile (17-4PH) è il materiale più usato con questa tecnologia ma leghe a base di rame, alluminio, superleghe a base nickel e titanio sono disponibili sul mercato. Il processo genera, dopo la deposizione del materiale, una green part, come nel caso della tecnologia Binder Jetting.

Anche in questo caso, è necessario un secondo passaggio in una fornace per il debinding e la sinterizzazione, al fine di ottenere la cosiddetta brown part. Essendo basata sullo stesso principio delle stampanti a filamento polimeriche, la progettazione di parti da realizzare con questa tecnologia segue, a grandi linee, le stesse regole (e.g. progettazione dei supporti, spessori minimi, etc.). Certo, le parti metalliche realizzate con l’estrusione del materiale presentano una porosità media del 2-4% più bassa rispetto alle tecnologie a letto di polvere (96-98% rispetto al 99-99,5% delle tecnologie a letto di polvere a fascio di energia): questo le rende abbastanza solide per realizzare utensili e attrezzature ma, probabilmente, passerà del tempo prima di poter realizzare componenti critici con questa tecnologia.

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