Commodity | Cosa attendersi dal mercato

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Anche per il 2023 è facile prevedere che le dinamiche di mercato delle commodity industriali siano destinate a restare sotto i riflettori e oggetto di attenta osservazione. La buona nuova è che i prezzi sembrano tornare su livelli ragionevoli, mentre il mercato spinge la ricerca sui materiali alternativi.

Da una parte, un imprenditore di lungo corso e presidente di una delle associazioni di settore più importanti dell’intero panorama industriale italiano. Dall’altra, un docente e responsabile di un Ufficio studi dalla reputazione inattaccabile e forte di una visione del mercato e delle tecnologie sempre approfondita e di vasto respiro. Nelle pagine che seguono Antonio Gozzi e Gianfranco Tosini esprimono la loro visione su quel che è lecito attendersi nel 2023 dal fronte delle commodity.

L’ottimismo è cauto, ma giustificato

L’amministratore delegato di Duferco e presidente di Federacciai Antonio Gozzi (succeduto nel ruolo la scorsa estate ad Alessandro Banzato) ha alle spalle un’esperienza troppo lunga per non esprimersi con la massima cautela circa l’andamento delle materie prime nel prosieguo dell’anno. Ciononostante, quello che gli si schiude dinanzi agli occhi è un panorama che mostra innegabili segnali di risveglio e offre più di una ragione per assumere un atteggiamento moderatamente ottimista. «Fare previsioni quando ci si trova ancora in pieno clima di guerra», ha esordito mettendo le proverbiali mani avanti, «è un esercizio temerario.

Ciononostante, ragionando sul sentiment degli imprenditori e ascoltando gli interventi degli esperti in occasione di alcuni recenti incontri e seminari l’impressione è che il pessimismo a oltranza si stia rarefacendo. Anzi, per quel che riguarda le commodity industriali l’impressione è che i prezzi stiano riconquistando una certa stabilità o addirittura denotino una tendenza ribassista. In pochi credono perciò all’approssimarsi di una fase recessiva benché mettano in conto invece un rallentamento dei tassi di crescita del Prodotto interno lordo, dal rimbalzo a +4% del periodo 2021-2022 a un possibile e più magro +0,5 o +1%».

Domanda-offerta: verso il riallineamento

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Antonio Gozzi, amministratore delegato di Duferco e presidente di Federacciai

La visione almeno in parte rosea dell’imprenditore ligure e numero uno associativo si fonda, oltre che sul polso dell’industria, su basi concrete. «Svariati fattori», ha osservato Gozzi, «mi inducono a pensare che almeno per il momento le maggiori criticità possano dirsi archiviate. Innanzitutto, il già citato calo dei prezzi delle materie prime e ancor più dell’energia, che contribuisce a raffreddare la prima fonte delle spinte inflattive all’interno dell’Unione europea. Poi c’è l’altra componente e cioè la difficoltà da parte dell’offerta di adeguarsi a quel che definirei un effetto-molla che caratterizza il rimbalzo della domanda verificatosi prepotentemente nel periodo successivo all’emergenza-Covid.

Le leggi del mercato prevedono che presto o tardi domanda e offerta possano riallinearsi e trovare un punto di equilibrio destinato trasversalmente a interessare tutti i settori, a iniziare dai trasporti». Sullo sfondo si muove la Repubblica Popolare Cinese, che secondo l’intervistato sta a sua volta attraversando un momento di ritrovato slancio. «Il governo della pandemia resta problematico», ha riflettuto, «ma l’economia è nel suo complesso in ripresa e questa è una buona notizia anche per l’Occidente. Per quel che attiene alla disponibilità di acciaio non sarebbe sorprendente passare da una situazione di shortage a una di sovracapacità: una dinamica tipica delle economie di mercato».

Made in Italy: l’indistruttibile

Certo, c’è sempre il rischio che la ripartenza cinese coincida con un rialzo dei prezzi del materiale, ma senza intaccarne la disponibilità. Nel 2022 «la Cina col suo +3% è cresciuta meno dell’Italia e proprio passando al quadro italiano, convinzione di Antonio Gozzi è che la nostra industria abbia «tenuto e performato» in questo difficile periodo storico «meglio di chiunque altro».

Pur se a ritmi modesti (+1%) la produzione seguita a crescere in controtendenza rispetto a quella di altre potenze vicine quali la Francia e la Germania. Neppure i rincari folli degli energetici hanno scalfito il made in Italy capace di saltare l’ostacolo «grazie sì agli aiuti della comunità internazionale» ma soprattutto per via «della sua flessibilità e del suo spirito di adattamento che trovano riscontro nei dati sull’export». Un’ulteriore boccata d’ossigeno è attesa dal Piano nazionale di ripresa e resilienza o PNRR. «È un elemento keynesiano che», ha commentato il CEO di Duferco e patron calcistico della Virtus Entella, «fra i prodotti siderurgici impatta in particolare i lunghi, già favoriti dai superbonus. Le stazioni appaltanti stanno già lanciando gare per importanti progetti infrastrutturali contenenti una forte componente di acciaio, da completare entro il 2026: uno stimolo per l’attività».

Le risorse dell’auto e quelle delle rinnovabili

Alle prese con traversie molteplici negli ultimi anni è stato il comparto automobilistico e anche a un tale proposito Antonio Gozzi ha riferito dell’atmosfera di «cauta positività» percepita confrontandosi con gli imprenditori del settore, destinata a riflettersi sull’andamento dei piani. «Dal canto loro», ha continuato, «travi, vergelle e laminati mercantili sono legati alle costruzioni e alle grandi opere. La pioggia di incentivi ha sicuramente gonfiato in modo artificioso il mercato e dato impulso alla domanda di prodotti lunghi: ora ai bonus potrebbero sostituirsi le risorse del PNRR».

Guardando nuovamente alla mobilità leggera, l’auspicio è che al di là delle incertezze e degli stop & go dell’elettrico produzioni e vendite abbiano ormai «toccato il fondo» e la ripartenza sia in vista. Altrettanta incertezza la si è vista sul versante delle forniture per l’oil & gas, influenzate dal boom delle politiche verdi. I prezzi sono lievitati ma al contempo la domanda si sta confermando interessante e le stesse rinnovabili potrebbero rivelarsi foriere di ulteriori e positive evoluzioni. Permane tuttavia il punto interrogativo forse più preoccupante, dato dal perdurare del conflitto russo-ucraino alle porte dell’Europa. «Una tregua», ha concluso Gozzi, «risulterebbe senz’altro di grande giovamento per gli investimenti e d’altra parte pensare alla ricostruzione post-bellica come a un’opportunità è doveroso. I più gravi pericoli pendevano sull’approvvigionamento di gas e il problema è stato risolto reperendo canali di fornitura alternativi e grazie all’inverno mite. Una disdetta per Putin, che per dirla con Bonaparte è forse un generale bravo, ma certo non fortunato».

Sette anni di cambiamenti

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Gianfranco Tosini,
responsabile dell’Ufficio studi della community di siderweb

Nel corso di un recente webinar una panoramica sui cambiamenti che stanno interessando la produzione e la distribuzione dell’acciaio e dei manufatti siderurgici è stata offerta dal responsabile dell’Ufficio studi della community di siderweb professor Gianfranco Tosini. L’idea di Tosini è che la materia abbia dinanzi a sé ben «sette anni di grandi cambiamenti» ma anche che le trasformazioni «non dovrebbero creare forti tensioni sull’offerta, la domanda e i prezzi». A patto, tuttavia, che «non si verifichino eventi straordinari».

A innescare il mutamento concorrono elementi disparati e il primo è identificato con «la fine del mega-ciclo cinese durato dal 1995 sino al 2020».

A seguire, la progressiva «riduzione dell’utilizzo di acciaio e la ricerca di nuovi acciai più leggeri e resistenti. Infine, ma certamente non meno importanti, la crescita «meno steel intensive dei Paesi emergenti con la riduzione delle catene globali del valore e lo sviluppo dell’economia circolare» che dovrebbe contribuire a contrarre il consumo di commodity. Terminato un ciclo, un altro se ne apre sotto l’egida di player inediti quali India, Vietnam, Iran e altri; e all’insegna di tendenze rivoluzionarie rispetto al passato.

«Mobilità sostenibile, regionalizzazione, economia circolare e decongestione urbana», è il parere di Tosini, «stanno portando all’alleggerimento del peso e allo sviluppo di materiali alternativi; alla produzione di nuovi tipi di acciaio più leggeri, resistenti e duttili; a processi di produzione siderurgica più ecologici, con la decarbonizzazione, e a impianti, sistemi produttivi e stabilimenti sempre più interconnessi grazie alle tecnologie digitali».

L’ora degli EAF

Le stesse metodologie di produzione dovrebbero assumere un volto ben differente da quello cui siamo abituati. Se preponderante sinora è stato su scala globale l’utilizzo dell’altoforno, nel 2030 le tecnologie EAF dovrebbero passare da un peso complessivo del 25 al 40%. C’entrano le politiche di riduzione delle emissioni e dell’impatto ambientale che spingeranno la stessa Cina a raddoppiare (dal 10 al 20% del totale, sempre fra sette anni) la quota delle lavorazioni basate su forno elettrico.

Conseguenza di ciò sarà la flessione della richiesta di minerale di ferro il cui output dovrebbe comunque restare sufficiente a soddisfare il fabbisogno della produzione di preridotto (DRI) senza esercitare sui prezzi alcuna influenza degna di nota. Di qui al 2026 è da ipotizzare al contrario un incremento della disponibilità di iron ore tanto per via dell’inaugurazione di altre miniere in Australia sia a fronte dei massicci investimenti cinesi sui giacimenti africani.

L’ecosostenibilità è nemica a maggior ragione del carbon coke la cui domanda è attesa da un più o meno marcato indebolimento. Solo nel caso in cui l’offerta dovesse «scendere più rapidamente della domanda» o dinanzi a eventi geopolitici e naturali clamorosi «i prezzi potrebbero restare relativamente elevati».

Lo slancio del preridotto

Quanto al rottame, qui la questione si fa più complessa e intricata e non sono da escludere tensioni fra domanda e offerta. Quest’ultima potrebbe scendere (-12,6% fra 2021 e 2030) presso i Paesi che oggi sono esportatori netti come Europa, Stati Uniti, Giappone e Sud Corea e il motivo è da ricercarsi nella diminuzione dei consumi di acciaio, causa della minor disponibilità di scrap. Tosini ritiene che «gli emergenti resteranno importatori netti, anche se per quantità progressivamente inferiori».

La Cina sarà al contrario «autosufficiente se la quota di produzione di acciaio con forno elettrico non supererà il 20% nel 2030», come anticipato, partendo dall’odierno 10,6% del totale. Infine, per l’Unione europea si teme uno shortage da 1,7 milioni di tonnellate di rottame alla fine del decennio; di 7,2 milioni per il Nord America e di 29,2 milioni per l’Asia e l’Oceania. Il saldo negativo è, a livello planetario, di 88 milioni di tonnellate e il principale candidato alla correzione degli squilibri è il preridotto di provenienza per la maggior parte indiana.

L’innovazione tecnologica può schiudere la strada a processi produttivi meno dipendenti dal gas e più all’idrogeno e altre fonti rinnovabili. La messa in avvio di nuovi impianti dalla capacità di 40 milioni di tonnellate arà sì che l’output possa crescere dagli attuali 114 ai 154 milioni di tonnellate preventivati per il 2030.

Roberto Carminati

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