Esistono delle classi di nanomateriali che possono essere prodotte mediante tecnologie alla portata di qualsiasi dipartimento di R&D, anche di una Pmi. Se parliamo infatti di nanofibre e nanoparticelle si può utilizzare la tecnologia dell’elettrofilatura, tecnica tutta italiana che permette di creare strutture nanometriche a partire da una enorme varietà di soluzioni liquide, a temperatura ambiente, contenenti al loro interno materiali di ogni tipo, dai polimeri organici (biologici e sintetici) alle ceramiche.
Dove si usano le nanofibre e le nanoparticelle
Innanzitutto è necessario chiarire quali sono le caratteristiche di ogni materiale che vengono esaltate da questo processo di fabbricazione.
Prima tra tutte c’è l’elevatissimo rapporto superficie/volume che permette di aumentare, di molti ordini di grandezza, la velocità di qualsiasi reazione chimica tra il nanomateriale e l’ambiente che la circonda. Le applicazioni che ne traggono i più importanti benefici sono quindi i sensori ed i catalizzatori che diventano capaci di rilevare o neutralizzare inquinanti con efficienze impensabili con sistemi convenzionali.
Il secondo grande vantaggio è la possibilità di produrre nanomateriali a temperatura ambiente a partire da qualsiasi materiale esistente, purché si riesca a crearne una soluzione liquida con bassa conducibilità elettrica: organico naturale (gelatina, acido ialuronico, cheratina…) o sintetico (nylon, teflon, policarbonato, PVA…) ed inorganico come le ceramiche. É possibile anche disperdere nella soluzione, prima di avviare il processo di elettrofilatura, degli additivi come nanoparticelle ceramiche o metalliche, grafene, nanotubi di carbonio per esaltarne le caratteristiche.
Con questi materiali eccezionali, prodotti a basso costo, si realizzano strutture tridimensionali di Tessuto-Non-Tessuto (TNT) con elevata porosità e macroscopicamente simili alla carta, composte da strati di nanofibre continue saldate una alle altre. Questi TNT trovano impiego per la produzione di filtri capaci di fermare pollini, batteri e persino virus ma, sfruttando la loro modellabilità vengono impiegati per creare complesse strutture 3D che, una volta impregnate in una matrice, formano i nano compositi. Quando la matrice è costituita da cellule viventi le strutture nanometriche vengono definite “scaffold” per ingegneria tissutale perché riescono a guidare ed accelerare la ricrescita di tessuti biologici danneggiati (cartilagini, pelle, ma anche valvole cardiache e nervi).