Le forniture energetiche possono essere declinate in chiave geopolitica da chi le controlla.
Le politiche energetiche devono contenere una visione di medio-lungo periodo, capace di considerare molteplici fattori, anche quelli che possono cambiare le carte in tavola.
Quando assistiamo a un affanno strutturale – come quello attuale – riguardo a come risolvere una crisi energetica, vuol dire da una parte che la politica energetica (italiana ed europea) non ha fatto bene il suo lavoro, e dall’altra che cittadini e imprese dovranno sopportarne le conseguenze.
Lasciandoci andare brevemente a considerazioni contingenti riguardo alla situazione europea, osserviamo che per decenni sono state considerate principalmente le soluzioni più semplici.
Lo scenario di quanto accaduto dopo la caduta del Muro di Berlino è stato quello di una forte crescita economica assicurata da fonti energetiche stabili, o ritenute tali. Perché esiste un rapporto indissolubile fra disponibilità energetica e crescita economica.
Senza energia non si può realizzare la crescita economica. Oggi, inoltre, scopriamo che l’energia è quasi sinonimo di geopolitica. O meglio, che le forniture energetiche possono essere declinate in chiave geopolitica da chi le controlla.
Iniziamo quindi a sentire circolare grandi paroloni come geoenergia, geostrategia e geoeconomia. Nessun riferimento alla geografia, invece.
La geografia è, in verità, il vero problema, reso apparentemente derisorio dalla globalizzazione galoppante che ha fatto apparire tutto vicino, a portata di mano. Ma la geografia determina la distanza e gli ostacoli esistenti fra produttori e consumatori.
La geografia determina la sostenibilità strategica delle fonti, qualora queste siano collocate in aree fuori dal controllo politico del consumatore finale.
E così, finalmente, si capisce che l’energia è uno dei fattori geopolitici dominanti per le nostre società evolute e industrializzate.
Le condotte sono più geopolitiche del gas naturale liquido
Nel 2021, in Italia, sono stati importati in totale 76.118 miliardi di metri cubi di gas. I due punti più importanti di entrata del gas in Italia sono quelli di Tarvisio e Mazara del Vallo, corrispondenti a oltre due terzi del gas importato.
Tarvisio (UD) è il collegamento con l’hub di Baumgarten in Austria, che riceve e distribuisce principalmente gas russo.
Mazara del Vallo (TP) è invece il punto di arrivo della condotta Transmed proveniente dall’Algeria.
Gela (CL) è il punto di entrata per il gas libico attraverso la condotta Green Stream.
L’ultimo punto di entrata importante è quello di Melendugno (LE), che riceve gas dall’Azerbaigian attraverso la condotta TAP.
Panigaglia (SP), Cavarzese (VE) e Livorno sono punti di entrata per il Gas Naturale Liquido (GNL), grazie agli impianti di rigassificazione ivi presenti.
Come si vede, le importazioni del gas via condotta in Italia dipendono principalmente da Russia, Algeria e Azerbaigian.
Riguardo alle forniture provenienti dall’Algeria, abbiamo assistito recentemente a un impegno da parte di questa di aumentare di 9 miliardi di metri cubi annui le consegne di gas all’Italia, di cui 3 miliardi potrebbero essere disponibili a breve.
Si tratta di un processo che verrà finalizzato entro il 2023-2024 e che potrebbe teoricamente compensare circa il 30% delle forniture russe dalle quali l’Italia intende affrancarsi.
Altre soluzioni sono ricercate in paesi africani quali Congo e Angola dove, nel mese di aprile, si sono recati il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, insieme al CEO di ENI Claudio Descalzi.
Un’ulteriore visita è programmata in Mozambico, dove ENI costruisce un impianto di liquefazione galleggiante, capace di processare fino a 3,4 milioni di tonnellate di gas liquido, equivalenti a circa 3,5-4 miliardi di metri cubi di materia prima rigassificata.
Per decenni sono state costruite condotte lunghe migliaia di chilometri, capaci di attraversare la tundra, la taiga, la steppa, il mare e le montagne.
Il lavoro “sporco” delle trivellazioni è stato lasciato agli altri. A noi è interessato solo avere il gas nelle caldaie e nelle fabbriche. Ma alla luce degli eventi attuali, chi può scommettere sulla stabilità delle forniture provenienti da Algeria e Libia?
E su quelle provenienti dall’Azerbaigian? Della Russia inutile parlare, basta accendere la televisione. Algeria, Libia e Azerbaigian appartengono, in grado maggiore o minore, alla periferia soggetta all’influenza politico-militare russa, parte del cosiddetto rimland geopolitico.
La Russia ha accordi militari con questi paesi o addirittura presenza armata, nel caso libico.
Nel caso specifico dell’Algeria si deve tenere conto delle tensioni storiche con il Marocco, recentemente riacutizzate, riguardo alle demarcazioni territoriali del Western Sahara, dove il Fronte Polisario agisce da estensione militare algerina confrontandosi con le forze marocchine.
Due elementi complicano ulteriormente il posizionamento dell’Algeria nei confronti dell’Unione Europea:
1) il riconoscimento da parte dell’amministrazione Trump del Western Sahara quale territorio appartenente al Marocco;
2) la sottoscrizione del Marocco degli Abraham Accords, che hanno normalizzato i rapporti fra Israele e alcuni paesi arabi (Israele pare stia cominciando a fornire tecnica militare al Marocco).
Questi elementi sono tali da poter complicare i rapporti di fornitura del gas algerino all’Europa, soprattutto nel caso in cui la Russia considerasse di impegnarsi in tal senso.
In sostanza dobbiamo considerare che il gas algerino proviene da un paese che deve essere considerato alla stregua di proxy russo.
L’Azerbaigian, più di tutti, è in una posizione estremamente scomoda, a causa del proprio passato come Repubblica Sovietica e il suo ruolo presente da paese-pivot nei giochi geopolitici transcaucasici, intrappolato nel tira e molla (amichevole, per ora) fra Russia e Turchia.
La guerra del Nagorno Karabakh ne è una dimostrazione, e un probabile ravvivamento del conflitto ne sarebbe la conferma (al momento in cui scriviamo, l’Azerbaigian ha riacceso le tensioni militari in una zona del Karabakh controllata dalle “forze di pace” russe, ponendo diversi interrogativi sul livello di accettazione plausibile che le forze militari russe possono mostrare nei confronti di azioni ostili scatenate dalle forze “amiche” azere).
Scommettere sulla stabilità delle rotte del gas che iniziano a migliaia di chilometri di distanza, in paesi soggetti a forti elementi condizionanti e a occasionali rivolte e rivoluzioni, è una strategia che nel terremoto geopolitico che va delineandosi può rivelarsi un problema enorme.
Da questo ragionamento possono essere esentate solo le forniture via condotta provenienti dai paesi nordici (punto d’entrata Passo Gries), Norvegia in primis, che non presentano per ora elementi condizionali tali da poterle interrompere.
Nel caso del Gas Naturale Liquido (GNL) la logica è diversa. Il GNL è “meno geopolitico” per quanto riguarda il trasporto, non dovendo passare fisicamente attraverso paesi terzi.
Per contro, questa forma di gas può provenire da aree del mondo potenzialmente destabilizzanti o soggette a shift geopolitici, ma apparentemente in misura minore rispetto a quelle dalle quali partono le condotte.
In questo contesto, gli impianti di rigassificazione assumono nuova valenza strategica, in quanto possono ricevere gas da qualsiasi fonte dove sia presente un impianto di liquefazione del gas.
Direzioni strategiche per il futuro del gas
Da diversi anni il futuro energetico è visto in chiave di abbandono delle fonti fossili.
Gran parte degli sforzi di politica energetica sono andati in questa direzione, il cui risultato è stato un aumento dell’elettrificazione su molteplici livelli: industriali, logistici, domestici.
Il problema, usando un’accezione popolare, è l’avere messo il carro davanti ai buoi.
In questo caso i buoi sono rappresentati dall’architettura dei sistemi di produzione elettrica, mentre il carro è costituito dalla nuova green economy. L’algoritmo è semplice: più green economy = più elettricità = più diversificazione energetica. La diversificazione dovrebbe venire PRIMA e dovrebbe essere il frutto di un pensiero strategico.
Si deve necessariamente tenere conto di quanto un’accentuata dipendenza dall’elettricità implichi attualmente una dipendenza ancora maggiore da fonti energetiche lontane, soggette a rischi di disruption di qualsiasi tipo: conflitti, rivoluzioni, cause naturali, concorrenza da parte di paesi più vicini alle fonti, politiche di chiusura commerciale, sanzioni, interruzioni delle catene logistiche.
Un primo livello di misure da prendere nel medio-breve periodo per diminuire l’importanza delle importazioni di gas via condotte (principalmente dalla Russia), e moderare il rischio geopolitico connesso, sarebbe quindi l’aumento delle capacità di rigassificazione del GNL, attraverso la costruzione sulle coste europee di nuovi terminali o l’ampliamento di quelli esistenti.
In questo modo verrebbe aumentata la ricettività totale di gas liquefatto a livello europeo, scaricando la dipendenza dalle forniture via condotte.
Il limite dell’espansione del GNL per ora è rappresentato dal numero di navi adibite al trasporto di gas liquefatto e dalla disponibilità di rigassificatori.
L’aumento delle capacità trasportabili e di quelle ricevibili è una delle chiavi di medio periodo legate all’utilizzo del GNL, in chiave di diminuzione dei rischi energetici.
Sempre seguendo la logica del GNL in funzione della sicurezza energetica, è fondamentale aumentare le capacità di liquefazione nel Mediterraneo, principalmente in Egitto e a Cipro.
Questi due paesi, insieme a Israele, siedono su ingenti riserve di gas offshore, il cui sfruttamento è appena cominciato.
I giacimenti di Aphrodite, Zohr, Leviatan e Tamar potrebbero garantire integralmente la sicurezza energetica all’Europa per un decennio, giusto il tempo per concludere la transizione verde.
A questi campi di estrazione se ne aggiungeranno altri, soprattutto nel Delta del Nilo. L’impianto di liquefazione del gas di Damietta in Egitto, gestito da ENI, è un primo passo strategico che dovrebbe essere riprodotto su scala più larga e molto velocemente, attraverso un lavoro congiunto e sistematico di tutti i paesi europei.
Considerando che il rischio maggiore per il GNL potrebbe apparire in situazioni di conflitto che blocchino i trasporti marittimi, l’alternativa di avere impianti di liquefazione geograficamente vicini e politicamente gestibili, alimentati da ingenti riserve, è quella capace di moderare in misura maggiore i rischi geopolitici collegati alla fornitura di gas.
Quanto abbiamo visto ha riguardato strettamente il collegamento fra gas e sicurezza energetica, nell’ottica di trovare soluzioni rapide a una possibile crisi energetica in divenire. Le vere soluzioni di lungo periodo sono altre e sono molto più complesse.
Si dovrà partire dalla diminuzione dell’energia utilizzata nei processi industriali e nella commercializzazione dei prodotti, che nella visione di chi scrive dovrebbe arrivare fino alla regolamentazione del volume e del peso del packaging.
Il punto di arrivo sarà dato dalle vecchie e nuove tecnologie di sfruttamento delle risorse rinnovabili: geotermico, correnti marine (maree), solare, eolico, rifiuti, idroelettrico, biogas, idrogeno verde, ecc.
Queste nuove soluzioni dipendono da un fattore fondamentale, che dovrebbe essere incastonato in tutte le politiche pubbliche: la Ricerca e Sviluppo, possibilmente depurata da secondi fini strettamente politici.
Guardare al futuro, adesso, è fondamentale. L’orizzonte temporale è la variabile principale quando si parla di sicurezza energetica
Le fonti energetiche
Il grado di dipendenza dal gas si vede dalla composizione dell’energy mix italiano per la produzione di energia elettrica.
Attorno al 50% dell’elettricità è generata attraverso centrali a cogenerazione a gas.
Si deve notare che esiste un trend di diminuzione di questa percentuale, corrispondente a uno speculare aumento della generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili, che ha raggiunto quasi il 40%.
Questa dinamica positiva pare destinata a rinforzarsi. All’interno della categoria delle rinnovabili troviamo l’idroelettrico, fortemente in diminuzione rispetto al passato, ma tuttora responsabile per il 15% della produzione elettrica.
Questa è una fonte sicuramente pulita, ma possiamo considerare due criticità:
1) a livello ambientale, la costruzione di centrali idroelettriche può avere effetti invasivi sugli ecosistemi;
2) a causa dei cambiamenti climatici e dello scioglimento dei ghiacciai, il debito dei corsi d’acqua dipenderà sempre più dalle precipitazioni stagionali, diventando meno prevedibile rispetto al passato.
Le rotte del GNL
I principali fornitori di GNL al mondo sono: Qatar, Australia, USA e Russia. Aggiungiamo alcuni dati di contesto. L’Europa ha una buona disponibilità di rigassificazione, pari a 227 miliardi di metri cubi/anno.
Il consumo totale annuale di gas in Europa è stimabile nel range 350-500 miliardi di metri cubi, a seconda della forza del ciclo economico.
La capacità totale di rigassificazione dei 3 impianti funzionali in Italia è di circa 15 miliardi metri cubi/anno, a fronte di un consumo nazionale pari a 76 miliardi di metri cubi nel 2021.
Il Bacino del Levante e il Bacino del Delta del Nilo
Le riserve presenti complessivamente nel Bacino del Levante e nel Bacino del Delta del Nilo sono stimate attorno ai 3000 – 4000 miliardi di metri cubi di gas, ma potrebbero essere riviste verso l’alto.
Il giacimento più grande in fase di sfruttamento, per ora, è quello Zohr, scoperto da ENI nella Zona Economica Esclusiva (ZEE) dell’Egitto, con riserve stimate attorno a 850 miliardi di metri cubi.
I giacimenti Leviathan e Tamar, nella ZEE di Israele, hanno riserve stimate rispettivamente attorno ai 605 miliardi e 200 miliardi di metri cubi.
Aphrodite, nella ZEE cipriota, avrebbe riserve stimate pari a circa 130 miliardi di metri cubi. Esistono collegamenti attraverso condotte sottomarine che legano Zohr a Damietta, sulla costa egiziana, e Tamar alla costa di Israele.
Sono previsti nuovi collegamenti che uniranno i diversi giacimenti fra di loro, con lo scopo di trasportare il gas direttamente agli impianti di liquefazione, per ora collocati solo in Egitto.
È prevista la costruzione di un impianto di liquefazione a Vasilikon, Cipro, che potrà a sua volta essere collegato ai giacimenti esistenti.
Lo sviluppo di questo network di condotte sottomarine e impianti di liquefazione è una delle direzioni a cui deve guardare la politica europea sulla sicurezza energetica.
Un’alternativa è quella della costruzione di una condotta (East Med Pipeline) che dai giacimenti del Bacino del Levante trasporti il gas fino in Grecia o Turchia per essere poi inviato verso il resto d’Europa.
Tale soluzione appare tecnicamente complicata, molto costosa e soggetta a problematiche geopolitiche in parte anticipabili e in parte no.
Finora non è stata trovata una “quadra” per la condotta East Med, motivo per il quale si considera che una strategia che si basi sul GNL sia più fattibile, più flessibile e più rapida da mettere in atto.
di Adrian Dimache, Analista, Imprenditore – Direttore del Centro Studi per l’Europa Orientale di Confindustria Romania.