Macchina nuova, “revamping” o “retrofit”?

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Il perdurare della crisi spinge molte imprese meccaniche a “rigenerare” le macchine utensili vecchie e a non investire in quelle nuove. Ma è davvero così conveniente?

Il termine inglese “revamping” è comunemente utilizzato in ambito ferroviario per indicare interventi di ristrutturazione dei treni o parti di essi (locomotive, carrozze, ecc.). Esso si differenzia dal “restyling” per il fatto che prevede interventi più impegnativi sugli impianti, sulle parti meccaniche e sulle strutture, anziché sul solo aspetto esteriore. Tale termine può essere esteso anche all’ambito delle macchine per asportazione di truciolo, per le quali revamping significa sostanzialmente “ristrutturazione meccanica”. E se a tale ristrutturazione si aggiungono anche interventi che introducono all’interno della macchina nuovi automatismi e moderni sistemi di controllo elettronico, l’intera procedura viene detta “retrofit”. Il revamping è quindi il complesso di operazioni che permettono a una macchina utensile di rivivere, per quanto possibile, una seconda “giovinezza tecnica”, allungandone la vita produttiva di qualche anno. Il retrofit, invece, è una procedura ancora più sofisticata e complessa che permette non solo di ripristinare le prestazioni della macchina, ma addirittura di migliorarle rispetto ai valori di partenza. Il ricorso a operazioni quali il revamping o il retrofit è sempre più diffuso presso le officine metalmeccaniche, in particolare quelle italiane, le quali sono tutt’ora messe a dura prova dalla persistente crisi economica e spesso si trovano nell’impossibilità di accedere a finanziamenti, oppure – semplicemente – preferiscono non investire in macchine nuove per non rischiare di mettere in gioco elevati capitali in questa fase di stagnazione generalizzata. Molti imprenditori, cioè, vivono nell’attesa di una ripresa che gli ultimissimi studi di settore prevedono solo per il 2014, e sono consapevoli che seguiranno ancora mesi di forte instabilità economica. Inoltre, non va dimenticato il problema delle banche italiane, le quali stanno patendo il persistere della recessione tanto che, a fine 2012, i prestiti bancari alle imprese risultavano diminuiti ancora del 5-10% rispetto a inizio anno (fonte OCSE). Tutto ciò si ripercuote sugli investimenti delle aziende le quali, come detto, con sempre maggiore frequenza cercano di “salvare” macchine datate – ma ancora potenzialmente funzionanti – con operazioni di ripristino e rigenerazione: il revamping o il retrofit, appunto. Per un revamping completo si procede innanzitutto, dopo la verifica delle prestazioni generali, allo smontaggio e al test degli impianti e dei componenti esistenti. Si effettua quindi una manutenzione straordinaria (o una sostituzione) degli stessi per portarli ad un livello prestazionale il più possibile simile al prodotto di partenza. Alcune operazioni comunemente compiute sono quindi la riparazione o la sostituzione di elementi quali mandrini, assi, guide, centraline, ecc., l’adeguamento alle normative di sicurezza vigenti e, meno comunemente, le modifiche strutturali. In caso di retrofit, si procede anche all’installazione dei nuovi controlli elettronici, all’aggiunta di elementi prima non esistenti (per esempio, motori o assi supplementari), dei sistemi di automazione, ecc. Infine, concluso il rimontaggio, la macchina deve in ogni caso essere sottoposta al collaudo come se fosse nuova. Si tratta in generale di un insieme di operazioni tutt’altro che semplici (specialmente nel caso del retrofit) che devono essere compiute da tecnici specializzati, se non direttamente dalle imprese che hanno costruito e immesso sul mercato la macchina in questione. Tali operazioni dipendono ovviamente dal tipo di macchina utensile (la quale magari è “speciale”, cioè non prodotta in serie ma personalizzata o costruita “ad hoc”) e dall’età della stessa. Non si tratta quindi, in genere, di operazioni banali: esse devono essere spesso progettate “da zero” e quasi mai hanno un costo marginale. In certi casi complessi il retrofit di una macchina potrebbe addirittura superare (e di molto) la metà del costo di un analogo modello nuovo. Per tale motivo, quando le tempistiche e soprattutto il budget lo consentono, è di certo preferibile l’acquisto di macchine nuove.

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Fabrizio Boeri, Anfabo snc: “Difficile reperire tecnici”

Dal 1987 la Anfabo s.n.c. (Caronno Pertusella, VA) realizza ingranaggi e microingranaggi di alta precisione da modulo 0,25 a modulo 2 utilizzando materiali metallici e sintetici in piccole e grandi lotti per i settori alimentare, aeronautico, navale, degli attuatori, dei micro-motoriduttori, delle pompe, ecc. L’impresa si avvale di un ampio parco macchine utensili suddivise nei reparti di torneria automatica, dentatura, rettifica. Fabrizio Boeri, titolare dell’azienda assieme al fratello Andrea, entra subito nel vivo del discorso: «Un’azienda come la nostra non può pensare di essere competitiva senza una politica costante di investimenti in macchine nuove. Tuttavia, è vero che in un periodo come quello attuale ogni acquisto deve essere attentamente ponderato perché è assolutamente necessario evitare spese inutili. Si consideri che noi utilizziamo macchine il cui costo iniziale parte da un minimo di 200.000 euro, una cifra di non poco conto. Anche perché il tipo di produzione è mutato, le dimensioni dei lotti si sono ridotte e quindi non è più possibile ammortizzare il costo delle macchine facendole lavorare 24 ore al giorno. Ed è per tale motivo che in questo momento la nostra politica è quella di valutare, volta per volta, se l’acquisto del nuovo è davvero indispensabile, se è possibile indirizzarsi verso una macchina usata o se può essere più conveniente rigenerare una macchina vecchia».

In quali casi optate per il revamping delle macchine?

«Se una macchina non è più in grado di “tenere le misure”, cioè di garantire le precisioni richieste, è chiaro che bisogna intervenire. Di solito si tratta di effettuare operazioni di sostituzione dei cuscinetti e quant’altro, o di installare componenti più moderni all’interno di una struttura che ha ormai qualche anno ma è sicuramente ancora molto robusta. Questo ci permette di ripristinare la macchina con una spesa ridotta, pari in media a un quinto rispetto al costo dell’equivalente nuovo modello. In genere, tali operazioni vengono eseguite direttamente da noi: siamo meccanici, sappiamo come intervenire, anche perché è davvero difficile trovare tecnici esterni in grado di operare sulle nostre macchine».

Per quale motivo?

«Esistono ovviamente imprese che si occupano di questo tipo di attività, ma alla prova dei fatti le risposte sono sempre molto vaghe: spese alte, tempi lunghi e nessuna certezza di buon esito. Del resto, è normale: un tecnico esterno, per quanto esperto, deve prima capire il funzionamento della macchina, poi capire dove intervenire, ecc., e ha bisogno del nostro costante supporto per essere messo nelle condizioni di operare. Tanto vale, allora, operare in prima persona, senza ulteriori costi e perdite di tempo. Se poi anche all’esito del nostro intervento ci rendiamo conto che la situazione non è più recuperabile, è allora inevitabile dismettere la macchina e sostituirla con una nuova. La difficoltà di rivolgersi a tecnici esterni, anche per supportare i nostri interventi, è davvero molto grande anche per un ulteriore motivo: spesso le macchine da rigenerare sono datate, il che vuol dire che hanno un livello di elettronica inferiore rispetto ai modelli attuali. I giovani tecnici di oggi si intendono più di programmazione dei computer che di meccanica pura, e questo è un grosso limite».

Non potreste, allora, rivolgervi direttamente alle case costruttrici?

«Certo. Abbiamo provato anche questa strada, soprattutto per il retrofit delle macchine più vecchie, magari con l’inserimento di un elettromandrino supplementare, o con l’installazione di un CNC più moderno, ecc. Tuttavia, le case costruttrici, che avrebbero tutte le competenze del caso, non amano questo genere di operazioni, perché non sono di loro convenienza. Loro preferirebbero certamente che noi acquistassimo direttamente macchine nuove, tant’è che spesso non inviano nemmeno i preventivi e cercano di eludere le nostre richieste».

 

Alberto Locatelli, Gamba Srl: “Rigenerazione sì, su macchine speciali”

La Gamba S.r.l. (Brembilla, BG), società fondata nel 1935 con un organico attuale di oltre cento dipendenti, è specializzata nell’esecuzione e nell’assemblaggio di particolari meccanici di vario tipo conto terzi, in piccole e medie serie, ottenuti principalmente da lavorazioni meccaniche con macchine utensili di precisione, soprattutto di tornitura, fresatura e rettifica. Alberto Locatelli, responsabili di stabilimento, spiega: «Nel nostro stabilimento sono installate circa 200 macchine, torni, trapani, centri di lavoro, dentatrici, transfer, rettificatrici, ecc. Utilizziamo macchine molto moderne ma anche alcuni modelli di torni a camme perfettamente funzionanti degli anni ’60 e ’70. Si tratta di macchine complementari ai torni a CNC, conservate ottimamente e ancora efficienti grazie alla regolare manutenzione che viene effettuata dal nostro personale. Il discorso è leggermente diverso per quanto riguarda i transfer che utilizziamo per la ripresa, macchine costruite da un’azienda che oramai non è più sul mercato. Per varie ragioni abbiamo preferito la continuità con questo modello per cui abbiamo sottoposto a retrofit le macchine esistenti con lo scopo di ammodernare la parte impiantistica e adattarle all’impiego di sistemi di automazione. La progettazione e l’esecuzione degli interventi sono stati completamente a cura del nostro personale: abbiamo quindi avuto la massima libertà d’azione e autonomia nell’implementazione di ulteriori miglioramenti e/o potenziamenti. Si è trattato in ogni caso di una scelta anche molto conveniente, perchè il costo dell’intervento è stato indicativamente il 10-15% rispetto al costo di acquisto di macchine nuove analoghe di altra marca. Un risparmio notevolissimo».

In altri casi vi appoggiate a ditte esterne per la rigenerazione delle macchine?

«Sì, ma solo per alcuni tipi di macchine. In genere, come detto, siamo direttamente noi ad eseguire questo tipo di operazioni. Disponiamo di un’ottima squadra di manutentori, esperti e specializzati, e siamo capaci di ripristinare le macchine nel modo giusto. In definitiva, ritengo che il revamping sia un’ottima soluzione per impianti più “meccanici” e meno “elettronici”, essendo la componentistica elettronica più rapidamente soggetta a obsolescenza; e che il retrofit lo sia per modelli “speciali” i quali, sebbene poco recenti, garantiscono ancora un ottimo rapporto qualità-prezzo e non sono facilmente reperibili».

Ritiene che la crisi induca le aziende a rigenerare le macchine vecchie piuttosto che a comprarne di nuove?

«Non ho in mano dati per avvalorare questa tesi. Ciò che si può dire è invece che effettivamente è sempre più difficile accedere al credito, dunque il revamping o il retrofit permettono di adoperare una macchina “quasi nuova” con un investimento inferiore. Forse, per certe imprese si tratta di una via quasi obbligata. Io tuttavia ritengo che, a meno di casi eccezionali, per ottenere un reale vantaggio competitivo sia quasi sempre preferibile investire in una macchina nuova, magari di basso costo, piuttosto che affidarsi al revamping di una macchina con un’età superiore ai 10 anni. Dal punto di vista dell’affidabilità e della competitività non credo infatti ci sia comunque paragone, anche perché l’elettronica moderna consente di gestire gli utensili in maniera molto più proficua rispetto al passato, con indubbi vantaggi dal punto di vista delle prestazioni. Noi, in generale, siamo per il nuovo, a parte i casi prima descritti. Oggi, se ci occorre un tornio, un centro di lavoro o una rettifica, noi preferiamo investire in un modello nuovo per contare su maggiore affidabilità, velocità, qualità e flessibilità. Non solo: per valutare l’ammortamento di un investimento nel suo complesso dobbiamo considerare anche voci quali la gestione, i tempi di attrezzamento, la necessità di manutenzione, ecc., che per le macchine revisionate incidono in maniera non trascurabile».

 

Roberto Donghi, Moog: “Tempi lunghi e gap tecnologici”

Moog è una nota multinazionale americana con circa 11.000 dipendenti e sedi in 26 Paesi nel mondo. Essa si occupa della progettazione, produzione e integrazione di componenti e sistemi per il controllo del movimento nei settori dell’aeronautica, della produzione di energia, dell’automazione industriale, della strumentazione medicale, del motor-sport e altri ancora. Dal 1975 Moog è presente in Italia e si avvale di due siti produttivi e di due altri dedicati all’R&D e al supporto tecnico-commerciale alla clientela, per un totale di circa 250 dipendenti. Roberto Donghi, Operations and Logistics Manager presso la sede produttiva di Almenno San Bartolomeo, in provincia di Bergamo, osserva: «L’Italia rappresenta per Moog il secondo mercato europeo dopo quello tedesco, e qui ad Almenno San Bartolomeo siamo in 35 dipendenti, disponiamo di una dozzina di macchine d’ultima generazione con le quali produciamo viti a ricircolo di sfere e a rulli satelliti. I nostri sono tutti prodotti speciali, di alto livello, in piccole serie e personalizzati in base alle richieste del cliente». Donghi mette in evidenza il suo punto di vista: «Circa un anno e mezzo fa abbiamo cominciato a valutare se “retrofittare” alcune nostre macchine speciali con le quali eseguiamo la rettifica dei filetti esterni delle viti, o se acquistarne di nuove. A tal fine abbiamo deciso di non rivolgerci a società specializzate in retrofit, vista la complessità delle macchine, ma di affidarci direttamente a case produttrici di macchine che eseguono anche retrofit. L’obiettivo era quello di avvicinarci, attraverso il retrofit, al cosiddetto “stato dell’arte” per quel tipo di lavorazione. Occorreva perciò valutare ogni aspetto, per esempio: l’introduzione di componenti per aumentare la flessibilità vista la continua riduzione dei lotti medi di produzione, l’installazione di sensori di misurazione, di strumenti di controllo di processo, di nuove guide ottiche, ecc. Ne seguì una lunga ed accurata analisi, al termine della quale si arrivò a concludere che l’intero processo di retrofit sarebbe costato all’incirca il 25-30%in meno rispetto alla macchina nuova. Un bel risparmio».

E come andò a finire?

«Una macchina nuova dà sempre il massimo, dal punto di vista delle prestazioni, mentre il retrofit, anche se ben eseguito, è pur sempre un compromesso. La domanda che ci ponemmo, dunque, fu: conviene risparmiare il 25% del costo, quindi una cifra non indifferente, a fronte di un determinato “gap” tecnologico? Prima di scegliere, tenemmo in considerazione un ulteriore elemento: per eseguire l’intero retrofit, la macchina sarebbe dovuta essere smontata e spedita alla casa costruttrice, e rimanere inattiva per oltre sei mesi. Troppo, per un’azienda come la nostra che ha la necessità di continuare a produrre. Alla fine decidemmo con convinzione di acquistare una nuova macchina».

Quindi, nel processo decisionale riveste grande importanza anche il tempo di esecuzione del retrofit?

«Assolutamente. Chi decide di retrofittare una macchina, da una parte sa che può risparmiare, dall’altra però deve mettere in conto diversi mesi di inattività e accettare alcuni “gap tecnologici”. La scelta, ovviamente, dipende da azienda ad azienda e coinvolge diversi fattori: quantità di lavoro, numero e tipo di altre macchine per compensare l’arresto di quella da retrofittare, ecc. Noi, alla fine, riteniamo di aver fatto la scelta giusta e, dopo i dubbi iniziali, siamo assolutamente soddisfatti. Con la macchina nuova, scelta dopo un’accurata ricerca di mercato, riusciamo a lavorare con la massima efficienza e capacità produttiva. Ciononostante mi preme sottolineare che il retrofit può essere davvero un’opportunità vantaggiosa in molti casi, specialmente in una situazione di mercato come quella attuale; l’importante è che i tempi delle operazioni di rigenerazione e i compromessi tecnologici non siano penalizzanti oltre la convenienza del risparmio. Invece, per lavorazioni meno particolari di quella prima descritta, e per esigenze di continuità produttiva meno spinta, sono sicuro che il retrofit delle macchine possa aiutare le imprese a superare l’attuale empasse derivante dalla difficoltà a investire».

di Vittorio Pesce

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