La doppia velocità delle banche, pronte ad alzare i tassi di interessi sui clienti all’aumento dei tassi di sconto, ma lente nell’adeguare quelli a vantaggio dei creditori. Conseguenze: profitti sempre più elevati e il rischio di un nuovo credit crunch.
L’Europa corre il rischio che ricompaia il credit crunch, ovvero la stretta creditizia, con la quale abbiamo già dovuto fare i conti durante la crisi finanziaria del 2008.
Non si tratta di un evento altrettanto drammatico, ma le imprese iniziano ad essere in difficoltà, sotto questo punto di vista, e i numeri lo dimostrano.
In pratica, rispetto a un anno fa (dati Banca d’Italia), i finanziamenti salvo buon fine sono cresciuti di circa il 60%, il leasing immobiliare a tasso fisso dell’82%, quelli a tasso variabile del 90%. Il leasing strumentale registra un +74%, mentre i mutui immobiliari navigano sul +150%.
Non sorprende, quindi, che l’Italia sia il Paese europeo dove si registra un maggior “credit crunch” sui prestiti erogati sia ai privati cittadini che alle imprese (-3,7% su base annua).
Ad essere maggiormente coinvolte da questa situazione sono le piccole imprese: le prenotazioni per la Sabatini, lo strumento più utilizzato da queste ultime per far fronte alle spese di investimento, sono scese del 30%. E c’è anche chi sta ricorrendo ai prestiti per pagare rate su mutui praticamente raddoppiati.
Del resto, dando un’occhiata ai conti, è facile notare come nel giro di un anno i costi bancari, tra interessi e commissioni, abbiano più o meno raddoppiato la loro incidenza sul totale dei costi aziendali.
Nel frattempo le banche continuano ad accumulare extraprofitti, ottenendo liquidità a prezzi molto vantaggiosi, dal momento che il tasso d’interesse pagato sui conti correnti raramente arriva all’1%.
Gran parte delle disponibilità di fondi delle banche in Italia viene da circa 2.600 miliardi di depositi liquidi dei clienti, che esse remunerano a un costo medio ufficiale dello 0,7%
In altre parole, significa che le banche pagano il denaro allo 0,7% e lo prestano attorno al 10% e per maggior sicurezza depositano il denaro alla BCE, un investimento sicuro, con un rendimento del 3,75%.
In sostanza, le banche, con l’aumento dei tassi ufficiali, sono state rapidissime ad adeguare gli interessi a loro favore sui prestiti, ma si sono dimenticati di farlo con quelli a favore dei clienti sui depositi.
Un importante istituto di credito, anziché fissare il costo del denaro, aggiungendo uno spread positivo a un parametro come l’Euribor, calcola gli interessi applicando un differenziale negativo a un tasso limite, arrivando a far pagare all’impresa il 17%, 2 di interessi, decimale più decimale meno.
In effetti, nei tre mesi estivi il valore delle azioni delle banche è cresciuto del 75%. In un contesto simile, sarebbe opportuna un’imposta supplementare sugli extraprofitti delle banche.
La colpa non va imputata e non deve ricadere solo sulle banche: la stretta alla liquidità corrisponde ai tentativi delle banche centrali di contenere l’inflazione.
Però, continuando di questo passo, non si rallenteranno solo i consumi, ma anche gli investimenti: tassi di interessi elevati equivalgono a minor potere di acquisto anche per le imprese, dai macchinari alle assunzioni.
Il motore dello sviluppo non può spegnersi, perché riaccenderlo sarebbe piuttosto difficile, come ci ricorda l’esperienza del 2008.