Le Parole della Meccanica | INTAGLIO

Carlo Gorla

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Le parole della meccanica: intaglio

I componenti meccanici, per motivi intrinsecamente connessi allo svolgimento delle funzioni per le quali sono costruiti, presentano spesso brusche variazioni della geometria. Ad esempio gli alberi, idealmente di geometria cilindrica, presentano però variazioni di diametro, necessarie a generare superfici di appoggio in direzione assiale, o cave, destinate ad accogliere chiavette o linguette, dentature, filettature o, anche, il collegamento forzato di un mozzo. Nel linguaggio della progettazione meccanica, tali variazioni geometriche vengono chiamate “intagli”, quando si vuole evidenziare la loro influenza sulla resistenza meccanica del componente. L’“effetto d’intaglio” consiste in una concentrazione locale degli sforzi che a sua volta si traduce, almeno in generale, in una diminuzione della resistenza meccanica, statica o a fatica.

Al progettista spetta il compito di quantificare la resistenza meccanica di un pezzo in presenza di intaglio ma anche quello di mitigarne l’effetto, cioè di ottimizzare la geometria con l’obbiettivo di minimizzare la penalizzazione della resistenza, compatibilmente con lo svolgimento della funzione richiesta.

le parole della meccanica: intaglio
Coefficiente di intaglio teorico

Coefficiente di intaglio teorico

Secondo l’approccio analitico tradizionale, si introduce un “coefficiente di intaglio teorico” o coefficiente di sovrasollecitazione, che quantifica l’incremento dello sforzo locale, cioè dello “sforzo massimo”, rispetto a quello della geometria imperturbata, detto “sforzo nominale”. Questo coefficiente viene in genere identificato dal simbolo Kt, o anche ak nella letteratura tedesca e può, per alcuni casi tipici, essere ricavato da diagrammi parametrizzati in funzione delle dimensioni geometriche.

Il coefficiente di intaglio teorico è definito nell’ipotesi comportamento elastico lineare del materiale e, in questo caso, alla luce della proporzionalità tra sforzi e deformazioni, si ha lo stesso incremento per entrambi. In presenza di scostamento dalla linearità, è invece necessario definire due diversi coefficienti, uno per lo sforzo e uno per la deformazione (Ks e Ke), la media geometrica dei quali, secondo quanto postulato da Neuber, è pari a a Kt.

In questa sede, sarà considerata solamente la condizione elementare, nella quale tanto lo sforzo nominale che quello massimo siano monoassiali. La trattazione del caso di sforzi multiassiali, o anche di quello in cui uno sforzo nominale monoassiale genera sforzi pluriassiali in corrispondenza dell’intaglio, è più complessa e richiede l’introduzione del riferimento ai criteri di resistenza.

Il coefficiente di sovrasollecitazione non è sufficiente, da solo, per valutare la riduzione della prestazione del componente, la quale dipende anche dal comportamento del materiale, segnatamente dalla sua duttilità.

Per quanto riguarda la resistenza statica, nel caso di un materiale fragile ideale, caratterizzato cioè da diagramma sforzi-deformazioni lineare fino a rottura, per il quale il raggiungimento anche localizzato del carico di rottura si traduce inevitabilmente in un cedimento, l’incremento dello sforzo dovuto all’intaglio corrisponde, in ugual misura, ad una diminuzione della resistenza. Nel caso di materiale duttile invece, se lo snervamento locale non costituisce di per sé un limite, all’ulteriore aumento del carico applicato fa seguito una ridistribuzione degli sforzi e un’estensione progressiva della zona plasticizzata, cosicché il “carico ultimo”, cioè il massimo applicabile al componente per raggiungere il cedimento strutturale, può essere ben più alto di quello che produce la “prima plasticizzazione”, cioè lo snervamento locale.

Con riferimento al caso semplice di una barretta forata sottoposta a trazione, realizzata in un materiale elastico perfettamente plastico, cioè con legame sforzo-deformazione con un tratto lineare fino allo snervamento seguito da un tratto a sforzo costante di estensione indefinita, il cedimento si verifica quando l’intera sezione in corrispondenza del foro è sollecitata da uno sforzo uniforme pari a quello di snervamento: in queste condizioni, il carico ultimo risulta uguale a quello di una barretta non forata della stessa sezione netta e si ha pertanto una totale insensibilità all’intaglio, il cui effetto non interviene quindi nella verifica di resistenza . Il comportamento indicato, anche se ideale, coincide dal punto di vista pratico con quello degli acciai a basso tenore di carbonio.

Un calcolo più accurato richiede l’introduzione di un parametro di sensibilità all’intaglio, dipendente dal materiale, ma, per la resistenza statica, i due casi limite di totale sensibilità e insensibilità, rappresentano una semplificazione accettabile nella pratica rispettivamente per i materiali fragili e duttili. Anche per i materiali duttili però, qualora si consideri come limite la prima plasticizzazione, il carico applicabile si riduce nella misura del coefficiente d’intaglio teorico.

L’effettiva entità della riduzione della capacità di carico prodotta dall’intaglio può essere quantificata introducendo un coefficiente d’intaglio sperimentale (Ks, o bk per i tedeschi), il cui valore è costituito dal rapporto tra lo sforzo nominale del componente di pari sezione non intagliato e quello del componente intagliato, entrambi calcolati in corrispondenza del cedimento. Per i casi limite sopra descritti, si avrebbe Ks = Kt per il materiale fragile e Ks=1 per quello duttile.

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Il diagramma mostra l’andamento del coefficiente d’intaglio calcolato rispettivamente considerando lo sforzo nominale nella sezione lorda (Ktg) oppure netta (Ktn)

Coefficiente d’intaglio (sperimentale) a fatica

Ben diverso è il caso della fatica, per la quale la presenza di intagli costituisce sempre una penalizzazione della resistenza, oltre che il luogo privilegiato di nucleazione del danneggiamento. D’altro canto, non si ha una totale sensibilità e la diminuzione del carico sopportabile è minore di quella che corrisponderebbe a Kt.

È pertanto indispensabile introdurre la sensibilità all’intaglio a fatica e calcolare un Kf, cioè un coefficiente d’intaglio (sperimentale) a fatica. La definizione è analoga a quella del caso statico e il legame con Kt è dato dal la relazione:

Per il calcolo di q, si possono utilizzare espressioni come quella di Neuber o Peterson: entrambe, anche se con differenze quantitative, evidenziano un aumento della sensibilità all’intaglio al crescere delle prestazioni del materiale e all’aumentare del raggio di raccordo dell’intaglio il quale, in condizioni di similitudine geometrica, è indicativo di un aumento delle dimensioni. Dal punto di vista fisico, la spiegazione chiama in causa l’effetto del gradiente dello sforzo che, a parità di valore massimo, comporta un valore medio inferiore su una dimensione caratteristica del materiale se le dimensioni sono più piccole. Pensando ad esempio ad un albero con variazione di diametro, un raggio di raccordo minore determina un coefficiente di intaglio teorico più elevato rispetto a quello che si avrebbe con raggio più grande, ma la riduzione di resistenza è minore di quella corrispondente al rapporto dei Kt, perché con raccordo più piccolo si ha una minore sensibilità. Per fugare ogni dubbio, il raccordo più grande darà comunque luogo ad una maggiore resistenza.

Riguardo al ruolo del materiale, la maggior sensibilità al crescere delle prestazioni implica che l’ottimizzazione della geometria, sempre opportuna, è ancor più determinante nel caso di materiali di elevate performance, per evitare che i potenziali benefici derivanti dall’utilizzo di un acciaio più costoso siano vanificati da un cattivo disegno del pezzo.

Calcolo degli sforzi mediante FEM

Tutti i concetti espressi continuano a valere anche quando, come sempre più frequentemente avviene, il calcolo degli sforzi è effettuato mediante gli elementi finiti. Il FEM restituisce già i valori locali degli sforzi e quindi non sono più necessari il passaggio da uno sforzo nominale e l’introduzione di un coefficiente di sovrasollecitazioni, ma si deve comunque tenere conto che, nel caso statico, i materiali duttili possono tollerare plasticizzazioni locali grazie alla ridistribuzione degli sforzi e, a fatica, l’effetto degli sforzi massimi è mitigato dalla presenza di un gradiente.

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Redistribuzione degli sforzi nei materiali duttili

Nel caso del FEM, è anche indispensabile valutare con approccio critico se i valori puntuali degli sforzi non siano la conseguenza della mesh utilizzata, piuttosto che della realtà fisica, ma questo è un altro tema.

Per una trattazione organica dell’argomento,

si veda il “Manuale degli organi delle macchine”

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