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Lubrorefrigerazione: tutto quello che c’è da sapere

Indice

Lubrorefrigerazione: che cos’è?

Lubrorefrigerazione è un termine recente, ma i concetti di raffreddare e lubrificare durante il processo produttivo di un manufatto, sono noti da tempo, anche se, solo in tempi più recenti, sono iniziati gli studi per chiarire i meccanismi e i fattori di influenza. Dire che oggi sia tutto chiaro, sarebbe presuntuoso, ma è ormai certo il ruolo che la lubrorefrigerazione ha sulla riuscita del processo produttivo, tanto che viene considerata parte integrante del sistema macchina utensile.

Il concetto di sistema

Il comparto manifatturiero ha ampiamente accettato il concetto secondo cui la lubrorefrigerazione è parte di un sistema, un sistema articolato e complesso che, partendo dalla macchina utensile e dal materiale grezzo, porta alla produzione del manufatto.
La lubrorefrigerazione non è più solo scelta del fluido, ma va sempre più assumendo un ruolo centrale, ricco di implicazioni, più o meno complesse da gestire, dove, se il ruolo primario, insito nel termine, è evidente, altri collegamenti, come device, sostenibilità e smaltimento/riciclo degli esausti, giocano un ruolo tutt’altro che trascurabile.

Definizione della lubrorefrigerazione nelle lavorazioni meccaniche

Lubrorefrigerazione” è termine dai molti significati ma che, nel mondo delle lavorazioni meccaniche, potrebbe essere letto come il raggiungimento della massima efficienza di processo, e rappresenta, se così si può dire, il “legante”, fra tutto ciò che concorre al successo della lavorazione, con un’influenza diretta sulla vita e le prestazioni di macchina e utensili, sull’evacuazione dei trucioli, oltre che sulla qualità del prodotto finito. Non è eccessivo dire sostenere che, a ogni processo produttivo, va associata l’adeguata lubrorefrigerazione, precisa e mirata, ma che rispetti i criteri di pulizia, oggi sempre più stretti.

Pulizia: cosa sporca il fluido? E come si misura la pulizia?

Se storicamente la “pulizia” aveva un significato molto relativo, oggi va sempre più delineandosi una scuola di pensiero, supportata da autorevoli studi sui meccanismi di lubrorefrigerazione e di taglio, secondo cui è indispensabile che il fluido da taglio abbia un grado di pulizia tale da garantire una lavorazione di qualità e un processo efficiente. La questione è: cosa sporca il fluido? E come si misura la pulizia?
Responsabili dello sporco sono gli inquinanti, ovvero trucioli di varie dimensioni, oli estranei, vernici protettive, pulviscolo metallico, polveri ambientali, sabbie…ma anche colonie di batteri che si formano all’interno del lubrorefrigerante, trovando un habitat favorevole alla loro proliferazione proprio in fluidi sporchi e poco ossigenati. Lo stato di questi inquinanti sarà diverso sia per peso che per comportamento: possono affondare e consolidarsi sulle vasche, oppure galleggiare, oppure essere trasportati facilmente dalla turbolenza del fluido, come l’olio che normalmente ricopre l’intera superficie delle vasche delle macchine utensili.
Il grado di pulizia di un lubrorefrigerante dipende da come è stato filtrato il fluido e, di conseguenza, fino a che livello la filtrazione si è spinta. Chi “governa” sono i micron, per cui si parla di:

  • Nanofiltrazione, se la filtrazione raggiunge valori di 0.08÷0.1 µm. 
  • Microfiltrazione, con filtrazione 1÷4 µm, ma comunque sempre sotto 5÷7 µm.
  • Filtrazione fina, per valori di filtrazione inferiori a 10 µm.

Se si parla genericamente di “filtrazione”, in genere si presuppongono valori superiori a 30÷50 µm. Oggi c’è molto interesse verso la microfiltrazione, in particolare quando le lavorazioni sono in alta pressione, dove è indispensabile un elevato grado di pulizia del fluido.

Il ruolo della filtrazione

La filtrazione è un po’ il cuore pulsante di tutto il sistema di lubrorefrigerazione, con un impatto importante sulla lavorazione meccanica e sui suoi costi, passando inevitabilmente per l’efficienza delle macchine utensili. In che modo? Allungando la vita degli utensili, migliorando la qualità superficiale, limitando gli interventi di manutenzione, contenendo la quantità di fluido da taglio, etc.
È stato stimato che, annualmente, i fermi di produzione, per inutilizzabilità delle macchine utensili, direttamente correlati a una lubrorefrigerazione inadeguata, incidano negativamente sull’attività di produzione aziendale, in una percentuale variabile fra 1% e 10%.

Sostenibilità: un dovere sociale anche per i lubrorefrigeranti

“Soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere quelli della generazione futura”.
Questa la definizione di sostenibilità data dalla Commissione delle Nazioni Unite (ONU).
Parlando di lubrorefrigeranti è evidente come il pensiero vada all’aspetto ambientale e all’impatto che il loro impiego abbia sia all’interno di un reparto produttivo che sull’ambiente circostante: è indispensabile uscire dal classico schema “benefici in produzione” ma pensare, ad esempio, a tutti gli aspetti correlati alle emissioni nell’ ambiente e, soprattutto, al loro smaltimento o riutilizzo. Sono temi che trovano riscontro nella Green Economy, obiettivi del Green Deal che coinvolgerà il mondo nel prossimo cinquantennio: sarà necessario migrare verso processi e prodotti che riducano l’emissione di CO2, meno energivori, che consumino meno acqua e, in generale, abbiano un minor impatto sull’ambiente, sia in forma diretta che indiretta.
Un aspetto che pochi considerano, quando si abbraccia la filosofia del sostenibile, è la ricaduta positiva sullimmagine, cioè l’aumento della “reputazione” e della “credibilità” dell’azienda nei confronti sia della comunità locale che dei propri clienti. E in un prossimo futuro, questo diventerà un aspetto non più trascurabile.

Al lubrorefrigerante sostenibile è richiesto di:

  • inquinare meno o non inquinare,
  • favorire la riduzione di emissione di CO2 in ambiente,
  • poter essere riutilizzabile o facilmente smaltibile,
  • garantire un ambiente più salubre, ma deve anche essere più efficiente.

Lubrificante efficiente e sostenibile: cosa significa?

L’efficienza di un lubrificante deve permettere di lavorare in condizioni migliori, aumentando sia la vita utile degli elementi lubrificati sia la qualità dei prodotti. Non solo, efficienza del lubrificante significa anche che le sue caratteristiche devono avere un intervallo di decadenza maggiore, portando a un suo minor consumo.
Fino a pochi anni fa, la maggior parte dei prodotti era a base minerale, prodotti che pur lavorando bene, non riuscivano a soddisfare tutti i requisiti in tema di sostenibilità. I grandi produttori di lubrificanti si sono quindi impegnati nel trovare soluzioni alternative, anche dietro la spinta delle crescenti esigenze del mercato: l’evoluzione della chimica e della tecnologia garantirà un forte contributo in termini di sostenibilità.
Quali sono i driver principali? Individuare basi lubrificanti e additivi con performance paragonabili o superiori ai classici a base idrocarburi. E l’identikit perfetto potrebbe essere: poco inquinante e più performante!

Il ruolo degli additivi

Il fluido lubrorefrigerante ha un duplice compito:

  • raffreddare la zona di lavorazione, esposta ad elevato calore a causa dell’attrito generato all’interfaccia utensile-pezzo, per prevenire i fenomeni di grippaggio,
  • lubrificare in modo ottimale il contatto utensile-pezzo, per ridurre l’attrito e il conseguente calore che si sviluppa.
    In una lavorazione per asportazione di truciolo le sollecitazioni meccaniche sono continue, sono severe, con un’esposizione del fluido all’azione di componenti esterni, come ad esempio l’ossigeno, e un contatto intimo con metalli di varia tipologia, che quindi porta alla generazione di interazioni di vario tipo.


La formulazione di un lubrorefrigerante prevede un’elevata componente percentuale di additivi, ed è proprio la scelta dei corretti additivi che permette al fluido, nella sua interezza, di raggiungere i risultati richiesti. I grandi passi fatti dalla ricerca in ambito chimico-fisico permettono oggi di poter applicare al fluido la competenza raggiunta, portandolo a rispondere adeguatamente alle esigenze di processo.

L’alta pressione e il lubrorefrigerante

Da qualche anno si parla, sempre più insistentemente, di lavorazioni in alta pressione, potenzialmente più performanti, che però prevedono strumenti e competenze siano adeguati. Oggi si parla spesso di cultura dell’alta pressione, che riguarda lavorazioni con pressioni del fluido da taglio superiori a 20 bar: le lavorazioni in alta pressione hanno un forte legame col fluido da taglio. In realtà con la pressione del fluido da taglio, che può raggiungere valori di 70/80 bar e, in alcuni casi, arrivare anche a 150 e oltre.
In questo scenario, la questione “lubrorefrigerazione” è strategica: se gli utensili di ultima generazione danno importanti vantaggi, il loro utilizzo richiede comunque attenzioni e, in particolare, il rapporto pressione/portata del lubrorefrigerante, nonché la sua pulizia.
Senza entrare nel merito dei sistemi di gestione del fluido da taglio, a cui è demandata la garanzia del corretto rapporto pressione/portata per ogni singolo utensile, va però precisato che l’allungamento della vita dell’utensile è strettamente legato alla qualità del fluido e al grado di filtrazione: un lubrorefrigerante sporco, cioè contaminato da particelle microscopiche, con dimensioni sotto 20µm, genererà un effetto abrasivo, simile a quello fatto dal taglio ad acqua. Se nel taglio ad acqua l’abrasività del fluido genera un beneficio (il taglio), nella lavorazione per asportazione, in particolare se in alta pressione, distrugge sia il pezzo sia l’utensile.
Un fluido contaminato è fonte di danni di varia natura, in primis la rapida usura dell’utensile, che quindi non lavora più nelle condizioni prescritte, con le evidenti ripercussioni sulla qualità e sull’efficienza di processo.
Nelle lavorazioni in alta pressione diventa strategico il ruolo degli additivi EP (Extreme Pressure)/Antiusura, forniscono le opportune caratteristiche antigrippanti al fluido da taglio, caratteristiche indispensabili agli utensili impegnati in lavorazioni ad elevata gravosità sui vari tipi di materiali.

Lavorazioni a secco, MQCL, MQL e MQC

La tradizione vede associate le lavorazioni per asportazione di truciolo all’impiego di lubrorefrigeranti, e questa viene considerata la “strada maestra”, anche in considerazione del ruolo, non secondario, che il fluido nell’evacuazione del truciolo dall’area di lavoro.
In tempi più recenti è andata sviluppandosi la tecnologia delle lavorazioni a secco, una tecnologia che sembrava potesse prendere il posto della storica a umido, sia per i considerevoli risparmi legati all’acquisto, alla gestione e allo smaltimento dei fluidi da taglio che alla maggior salubrità dell’ambiente di lavoro. In realtà, alla fine, la lavorazione a secco non è riuscita a soppiantare la più tradizionale a umido, anche se in alcuni casi risulta di sicuro interesse.

Più interessante per il mondo manifatturiero sembra essere la lubrorefrigerazione minimale, che permette di ridurre al minimo il consumo di lubrorefrigerante, arrivando a pochi millilitri/ora. La letteratura tecnica internazionale parla di sistemi di lubrorefrigerazione near-dry e sono gli MQCL (Minimum Quantity Cooling Lubrication) che vede, come lubrificante, olio o emulsione, in alcuni casi anche semplicemente acqua.
Data la duplice funzione di lubrificazione e raffreddamento, a seconda di quale sia prevalente, è stata proposta una distinzione: MQL (Minimum Quantity Lubrication) e MQC (Minimum Quantity Cooling).
Rispetto a una lavorazione a secco, l’MQL, dove prevale l’effetto lubrificante, ha una riduzione dell’attrito dell’interfaccia di contatto pezzo/utensile, con una conseguente minor generazione di calore, e quindi si riduce anche il calore ceduto al pezzo e all’utensile, motivo per cui il raffreddamento diventa secondario. Per contro, con l’MQC si ha un minor effetto lubrificante, motivo per cui si genera più calore e diventa primario l’azione refrigerante.
Viene utilizzata una nebbia fine di aria che contiene una quantità limitata di fluido da taglio, spruzzata in direzione del tagliente ad alta pressione, con una portata che si aggira intorno al decimillesimo della portata in caso di lavorazione tradizionale.
La lubrificazione minimale può essere utilizzata quasi in ogni lavorazione per asportazione di truciolo, con ogni tipo di macchina utensile sebbene, come sempre, convenga una attenta valutazione preliminare.

Lubrorefrigerazione e lavorazione dei materiali

La lubrorefrigerazione è strettamente legata al tipo di materiale che si sta lavorando, data la variabilità delle caratteristiche chimiche e fisiche, oltre che delle proprietà meccaniche. La corretta scelta del fluido, la sua bontà, oltre ad una applicazione adeguata al materiale e alla lavorazione, possono realmente “fare la differenza”, decretando o meno il successo del processo, sia in termini di produttività che di qualità. Il che si traduce in marginalità.
Fra l’enorme varietà di materiali che possono essere lavorati all’utensile, negli ultimi anni alcuni sono diventati particolarmente interessanti per il comparto manifatturiero, ed hanno spinto ad approfondire il legame fra una lavorazione di successo e la lubrorefrigerazione.

Alluminio

Le numerose leghe di alluminio si prestano molto bene alla lavorazione per asportazione di truciolo anche se, per rendere performante ed efficiente il processo, occorre tenere presente i diversi comportamenti durante la lavorazione e, di conseguenza, le tecniche da adottare in modo che il sistema macchina utensile lavori al meglio.
Tutte le leghe di alluminio possono essere lavorate sia con uso di lubrorefrigerante che a secco, dipende fondamentalmente dal tipo di lega, sebbene si tenda a prediligere le lavorazioni wet, utilizzando emulsioni che abbiano ottima stabilità e capacità detergente, in grado di prevenire la macchiatura.
È infatti indispensabile una grande pulizia della zona di lavoro, dato che le leghe di Al possano facilmente essere macchiate dagli oli, pulizia affidata ad efficienti sistemi di lavaggio, ma è la lavorazione vera e propria da tener sotto controllo, perché è opportuno che il fluido da taglio sia sempre pulito ed efficiente, filtrato e disoleato.
Ogni manufatto, al termine della lavorazione, deve subire un lavaggio con un detergente adeguato, che garantisca una pulizia profonda, in grado di “non lasciare testimoni”, eliminando eventuali bave e micro sfridi.
Da sottolineare come il fluido da taglio, che, per i moderni centri di lavoro, è in alta pressione, debba essere impiegato con abbondanza sia sulla punta dell’utensile che su tutto il pezzo, in modo da contenere la temperatura, senza creare shock termico, cui le leghe di Al sono particolarmente sensibili.
In linea di massima viene prediletto un lubrorefrigerante con caratteristiche di elevata untuosità, che soddisfano pienamente le esigenze del taglio dell’Alluminio, ma, al contempo, con ottime caratteristiche di detergenza, così da garantire zone di lavoro molto pulite. 

Superleghe

Sono note come HRSA (Heat Resistant Super Alloys), e classificate come appartenenti alla famiglia dei materiali ISO S.
Le superleghe sono ampiamente utilizzate in campo aeronautico e aerospaziale, ma anche in tutti i comparti dove sia fondamentale la resistenza al calore, permettendo un notevole miglioramento delle prestazioni, superando limiti un tempo ritenuti invalicabili, e sembrano rappresentare il giusto compromesso fra proprietà meccaniche ad alta e bassa temperatura, resistenza a fatica meccanica e termica, resistenza al creep, all’ossidazione e alla corrosione

La lavorazione di tutte le superleghe rientra sicuramente fra le più gravose e difficili che un’officina debba affrontare. L’alto contenuto di nichel presente nella lega rende il materiale da lavorare molto duro e poco duttile e, essendo un materiale resistente alle alte temperature, la sua lavorazione con l’utilizzo di un fluido lubrificante non idoneo può creare grossi problemi di finitura del pezzo, con rugosità e/o precisioni non ottimali. Questo a causa di una scarsa lubrificazione nella zona di contatto utensile/materiale.
Generando molto calore, nella maggior parte dei casi, la scelta cade sull’utilizzo di lubrorefrigeranti emulsionabili dato che la capacità di abbattimento di calore è decisamente più elevata rispetto ad un olio intero. Gli emulsionabili consentono anche di utilizzare pressioni in macchina decisamente importanti, cosa che sarebbe praticamente impossibile con olio intero.
Importante è anche la scelta del corretto pacchetto lubrificante contenuto nel fluido: la tendenza attuale è quella di utilizzare prodotti con un medio-alto contenuto di fase lubrificante, che può essere sia una base minerale che sintetica. Dato che si tende a lavorare in condizioni estreme di pressione, diventa molto importante anche l’utilizzo dei corretti additivi EP, che devono aumentare la capacità lubrificante del fluido, abbattendo l’usura degli utensili.

Inconel

L’ Inconel è una superlega riconducibile a quelle a struttura austenitica nichel-cromo, che, in virtù delle sue caratteristiche, viene impiegato quando le condizioni sono gravose.
Come tutte le leghe HRSA, la resistenza alle alte temperature richiede, per la sua lavorazione all’utensile, l’utilizzo di un fluido lubrificante specifico, per non incorrere in problemi di finitura del pezzo, che potrebbero portare a rilavorazioni o addirittura allo scarto. L’eventuale non corretta lubrificazione durante la lavorazione, presupponendo una corretta scelta dell’utensile da taglio, può portare ad una usura decisamente elevata degli utensili che può essere, come anche al rischio di fenomeni di collisione o rottura.
Dato che l’Inconel si lavora ad alte velocità, buone asportazioni e bassi avanzamenti, uno dei problemi più frequenti è la formazione di “bruciature”, dovute a un elevato surriscaldamento del pezzo, oltre che a una scarsa evacuazione del truciolo. Il fluido da taglio, essendo estremamente sollecitato, tende a surriscaldarsi e quindi a non garantire più il corretto abbattimento del calore, andando a generare un ulteriore aumento dell’usura.
Un’altra insidia è la possibile formazione di schiuma un fenomeno generalmente correlato alle lavorazioni in alta pressione, preferita proprio per riuscire ad abbattere più velocemente il calore e per migliorare l’evacuazione del truciolo. Chiaramente, in presenza di schiuma, il fluido non lavora più come dovrebbe, e non consente una lubrificazione e un abbattimento omogeneo della temperatura: bruciature e qualità compromessa, sono i riscontri più evidenti.
Un’ulteriore problematica riguarda la stabilità del fluido da taglio: le elevate temperature che si generano durante la lavorazione possono degradare il lubrorefrigerante, che, a causa della separazione, o del depauperamento di alcuni additivi, compromettono le prestazioni.

Magnesio

Le leghe di magnesio rappresentano una valida alternativa alle leghe di alluminio, soprattutto quando è necessaria una particolare leggerezza, come nel settore aerospaziale e automotive.
La lavorabilità delle leghe di magnesio è considerata eccellente, data la bassa resistenza offerta al taglio e, di conseguenza, alle basse forze richieste. Questo implica la possibilità di lavorare ad alta velocità, con un risparmio diretto sui tempi di esecuzione e, indiretto sull’utensile, che, usurandosi meno, ha una vita utile maggiore. Un’altra interessante caratteristica è la possibilità di ottenere un’ottima finitura superficiale, che rende pressoché inusuale la superfinitura. Purtroppo c’è un’insidia: il pericolo di incendio dovuto alla facile reattività di residui e sfridi. E’ quindi consigliabile abbattere lo sviluppo di calore, tipicamente quello generato per attrito pezzo/utensile, in modo da scongiurare il rischio di incendio, che però può esser innescato anche a causa della presenza di scintille da lavorazione, che possono entrare in contatto con polveri di magnesio, o trucioli fini, facilmente infiammabili.
La scelta e la gestione del fluido lubrorefrigerante nella lavorazione del magnesio e delle sue leghe sono estremamente importanti.
Un lubrorefrigerante solubile in acqua può sembrare la scelta migliore per abbattere velocemente le temperature, ovviando al rischio di incendio, ma in realtà non è la soluzione ottimale perché il magnesio, sotto forma di polvere, reagisce rapidamente a contatto con acqua, generando reazioni molto forti ed esotermiche. Benché si lavorino solo leghe di magnesio, che sono sicuramente meno reattive rispetto all’elemento puro, rimangono comunque il metallo più reattivo e facilmente infiammabile che un’officina possa lavorare. Nonostante tutto, la maggior parte delle aziende metalmeccaniche, che truciolano leghe di magnesio, utilizza lubrorefrigeranti solubili in acqua.

Oltre alle “classiche” biostabilità, pulizia, detergenza, buon potere di taglio e versatilità, il lubrorefrigerante specifico per la lavorazione delle leghe di magnesio deve possedere altre caratteristiche estremamente importanti:

  • alto punto di fiamma,
  • buona capacità raffreddante,
  • alto potere lubrificante.

 

La pulizia del fluido, e quindi un ottimo sistema di filtrazione, ma anche un efficace controllo delle temperature del fluido che, durante la lavorazione tende in modo costante a salire, affidandosi ad appositi sistemi di raffreddamento come chiller o similari.

Come tante leghe leggere, anche le leghe di magnesio, sono materiali facilmente ossidabili, motivo per cui è necessario che il fluido garantisca una buona passivazione del magnesio, ricorrendo a pacchetti additivi specificatamente studiati.
Attenzione anche alla dissoluzione del magnesio nel fluido, che porta a un incremento molto più accelerato e importante della durezza complessiva dell’emulsione, che, arrivata a certi valori, può addirittura portare alla separazione dell’emulsione, con tutte le problematiche collegate. Anche in questo caso è importante un apposito pacchetto additivo, che limiti la dissoluzione del magnesio e che possa resistere anche a un contenuto estremamente elevato di questi sali.
Da ultimo, non va dimenticato né sottovalutato il ruolo della gestione del truciolo, soprattutto per evitare potenziali rischi di incendio e reazioni non desiderate: nei limiti del possibile, è consigliabile asciugare il truciolo e stoccarlo in contenitori dedicati.

Titanio

L’ottimo rapporto resistenza/peso, le elevate proprietà meccaniche alle alte temperature, rendono le leghe di titanio di sicuro interesse per tutti quei settori dove peso e caratteristiche sono fondamentali, con manufatti che possono (o devono) lavorare in condizioni estreme.
Per le leghe di titanio, la scarsa conducibilità termica rappresenta una delle principali sfide: la bassa conducibilità termica, sfavorendo la dissipazione del calore, comporta un notevole aumento della temperatura, con i conseguenti problemi di microfusione e reattività a caldo, oltre al possibile rinvenimento del pezzo e smussatura dei taglienti.
Buone prestazioni di taglio non possono quindi sottovalutare la questione “raffreddamento”, specie se si considera che, a pressioni elevate, o temperature superiori a 300°, reagendo con carbonio, ossigeno e azoto, il titanio inizia a prendere fuoco. Questo rischio è ancor più elevato se la lubrorefrigerazione si interrompe, motivo per cui una best practice, è lubrorefrigerare sempre, in grandi quantità e, se possibile, ad alta pressione. Infatti, l’utilizzo di fluido da taglio ad alta pressione raddoppia la durata degli utensili, rispetto ad un impiego a pressione standard, evitando, fra l’altro, la rimacinazione dei trucioli, che danneggerebbe l’utensile, dato che l’alta pressione gioca a favore dell’evacuazione e dell’allontanamento dei trucioli.
Al lubrorefrigerante utilizzato nella lavorazione delle leghe di titanio è richiesta una elevata lubricità che, unitamente al potere refrigerante fornito dalla massa del fluido nella zona di taglio, deve consentire la massima asportazione del calore di lavorazione, che si accumula sull’utensile, evitando così fenomeni di grippaggio e rottura